Come Eravamo e’ uno di quei film che si presta a letture multipiano, in cui una parte della vicenda pare sempre fare da scheletro per l’altra. E’ la storia d’amore il pretesto per raccontare (per la prima volta sullo schermo), alcune pagine della storia politica americana, o e’ la politica a fare da sfondo ad una delle piu’ complesse e sfumate storie d’amore mai raccontate?

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Probabilmente il coro di voci si amalgama tanto bene che non si riesce (e nemmeno si vuole) districare il complesso, e il ragionamento suscitato e’ il frutto perfetto della commistione di intenti e ambiti.

Tratto dal romanzo di Arthur Laurents, Come Eravamo racconta la storia d’amore di Cathy e Hubbel, due giovani intelligenti e promettenti, brillanti e focosi, solo che lui e’ un gradino (un misero, minuscolo gradino) meno di lei.

Come Eravamo pare sostenere la controversa teoria secondo cui un uomo e una donna a parita’ di intelligenza e spessore vedranno sempre lui un pizzico piu’ indietro. Perche’? Ma solo perche’ e’ un uomo, e per quanto in gamba non riesce davvero a non desiderare un po’ di sana cialtroneria e autentica leggerezza.

Hubbel non e’ il solito belloccio biondo e stupido (benche’ Kathy ne sia affascinata ben prima di appurarlo), eppure quel rantolo di superficialita’ upper class che si agita in lui e’ croce e delizia, scompenso e dannazione di una coppia troppo sbilanciata, alito di vento indomabile che seduce la coriacea Kathy irriducibilmente convinta di poter rendere un bell’uomo migliore di quello che e’.

Hubbel non e’ all’altezza di Kathy e Kathy , che pure vive il suo lui come un tallone d’achille, non riesce a contagiarlo del tutto della sua furente e assoluta passione politica. E non perche’ a dividere i due ci sia un’ideologia, bensi’ per la latente e malcelata voglia di lui di vivere al di la’ dell’ideologia, senza partiti o fedi politiche assolute, finalmente in pace, finalmente sereni, godendosi attimi di spensieratezza a cui Kathy pare ontologicamente allergica.

Tu non ridi mai” – “E tu ridi sempre?” si dicono i nostri al loro primo incontro.
Ed e’ in questo lapidario e semplice scambio di battute che si esprime un’incomunicabilita’ esistenziale insanabile con gli anni e con il progredire delle situazioni, buone ogni volta per combattere una guerra nuova (guerra di Spagna, Pearl Harbor, la morte di Roosevelt, la “caccia alle streghe” anticomunista), perche’ Kathy “non si arrende mai“.

Cio’ che dell’altro meno si tollera e’ tuttavia cio’ che piu’ attrae, e mentre Hubbel si lascia ammaliare dalla grinta vitale e dall’intelligenza prorompente di Kathy (anche se poco incline al riso e, per dirla breve, pesante come un macigno), Kathy individua nel suo Apollo un talento (che forse lui non ha? e’ solo una proiezione di Kathy? Una sua creazione?) da proteggere e coltivare, come una mentore d’altri tempi che cerca di preservare la bellezza delle creazioni letterarie di Hubbel dalla corruzione commerciale di una Hollywood mercenaria, da cui vorrebbe fuggire. Da cui vorrebbe che lui desiderasse fuggire.

Nel frattempo scopriamo che Hubbel osserva un’altra fanciulla, piu’ pacata, che non disprezza Hollywood e che trova le palme belle e rilassanti, a fronte di una Kathy che lamenta “Come vorrei che piovesse“.

Ecco che la pellicola ci porta a spasso nel dissidio interiore di un amore che non sa decidersi se essere rinuncia o crescita, arricchimento.

I due protagonisti paiono diversissimi fin da subito. Lui che dorme in piedi, capace di farsi stancare dalla vita, di estenuarsi e di cercare il riposo, e lei che non dorme, non si stanca e non si riposa.

Il tentativo che entrambi faranno di andare incontro all’altro si rivelera’ fallimentare, mentre l’ultima scena arriva, senza preavviso, come un coltellata alle spalle, che cancella speranze, non consola e non compiace, ma consegna questo film ai libri di storia anche per la musica, che amara e malinconica giunge a incorniciare una Kathy indefessa che dopo anni combatte la sua ultima battaglia: contro l’atomica, mentre Hubbel rimane li’, un passo indietro, come era sempre stato, e forse non tanto piu’ felice.

Il film di Pollack non e’ un film perfetto, e in qualche punto l’indugio e la lunghezza sfiorano il prolisso e il gratuito, eppure non puo’ non stregare la maniera in cui una passione (e una stima) impossibile viene descritta: con delicata precisione e sottile fermezza. Un tratteggio di personaggi umanissimi e ricchi di sfumature, che fino alla fine ci sorprendono con le loro scelte imprevedibili, e subiscono sullo schermo le variazioni che si subisce nel tempo della vita. Impercettibili ma sostanziali.

I due attori sono memorabili, e se a Redford la parte di Hubbel pare cucita addosso (il film lo consacro’ a icona di Hollywood), la Streisand fa invece un po’ piu’ fatica, soprattutto nelle scene romantiche o in cui si cimenta nell’arrendevolezza.

Premio Oscar per Miglior Colonna Sonore e Miglior Canzone (The Way We Were cantata dalla Streisand).

Come Eravamo: Un classico ancora attuale, sia nella descrizione del rapporto fra i sessi, sia per le circostanze politiche.

La Frase: “Tu sei facile? Forse rispetto alla Guerra Dei Cent’Anni” Robert Redford, Come Eravamo, 1973

Voto: 7