Era un cortometraggio, adesso è un film. Ma, duole dirlo, forse cortometraggio doveva restare.

Sarà che di questi tempi ci si aspetta tanto dal cinema d’animazione, soprattutto se tra i produttori spicca il nome di Tim Burton; sarà che nel 2006 per un pelo non ha vinto l’Oscar come miglior cortometraggio d’animazione e qualcosa vorrà pur dire; ma la noia non era tra le reazioni previste.

Lo scenario è un mondo desertificato che ricorda quello raccontato dal fratello pixariano Wall-E. L’umanità si è estinta dopo una fatale guerra tra uomini e macchine. Delle bambole di pezza animate sono l’unica forma di vita rimasta e devono proteggersi dalla minaccia costante di certe macchine che ancora si aggirano libere e arrabbiatissime su questo pianeta monotono.

Fin qui tutto risulta semplice e comprensibile. Per quanto il tema fantapocalittico sia ormai un classico della produzione letteraria e cinematografica, non si può certo negare che susciti ancora un’attenzione e un’aspettativa forti nel pubblico moderno. Il grosso problema di 9 è che le bambole sono praticamente tutte uguali, e i loro personaggi risultano scarsamente e malamente caratterizzati. Il numero 1, che è il più anziano nonché il capo del gruppo, ha un cappello da shogun e un bastone da pontefice, perciò si riconosce senza difficoltà. 5 ha un occhio solo e 7 è una bambola femmina, ma il quasi anonimato degli altri frustra la naturale tendenza dell’uomo a seguire senza sforzi una trama. In fondo anche i puffi erano tutti uguali, ma la questione non si è mai posta.

La storia è esile e lenta. Si scappa, si combatte, si fa l’errore fatale che risveglia la macchina delle macchine, a suo tempo voluta da un crudele Cancelliere guerrafondaio e creata da uno scienziato che sembra Einstein senza baffi. Un barlume d’interesse si accende a venti minuti dalla fine quando vengono forniti blandi colpi di scena e minime spiegazioni, in particolare sul misterioso amuleto ricoperto di strani simboli che ha causato il risveglio dell’orribile macchina, e che custodirebbe il senso della vita delle bambole stesse. Ma per la rapidità compulsiva con cui le informazioni si concentrano tutte a questo punto, dopo un’ora di torpore, l’impasto risulta cervellotico, e un po’ stanca. Si arriva persino ad allusioni sulla vita ultraterrena, in un inatteso e forse stridente momento lirico in cui si assiste all’ascensione di alcune anime bambolesche al cielo. Forse l’assidua frequentazione col mondo disneyano, ispirato a messaggi semplici e morali chiare, ha viziato la capacità interpretativa del comune spettatore; certo è che non ci si scompone di fronte a questa prova comunque ambiziosa e diffusamente ammirata.

Superba l’animazione, realizzata mediante grafica computerizzata ma con un certo gusto classico, confermato dalla scelta di colori soffusi e malinconici. Forse è un po’ poco per gridare al capolavoro, ma al mondo dei cinefili è bastato e avanzato.

Voto: 5

Regista: Shane Acker
Sceneggiatura: Pamela Pettler
Attori (voci versione originale): Elijah Wood, John C. Reilly, Jennifer Connelly, Christopher Plummer, Crispin Glover, Martin Landau, Fred Tatasciore.
Animazione: Starz Animation, Toronto
Montaggio: Nick Kenway
Musiche: Danny Elfman. Deborah Lurie
Produzione: Jim Lemley, Tim Burton, Timur Bekmambetov, Dana Ginsburg
Distribuzione: Universal Pictures
Paese: USA
Genere: animazione
Durata: 98′
Formato: colore