Zurlini l’invernale

La Mattioli ripubblica Gli anni delle immagini perdute del regista Valerio Zurlini, essenzializzando un testo che restituisce un profondo ritratto artistico e umano: prefato da Tuena e reintitolato Pagine di un diario veneziano, il libro fa scoprire un autore dimenticato del nostro cinema.

Valerio Zurlini è una delle più complesse e irriducibili figure del cinema italiano del secondo Novecento. Non è un maestro, non è un classico, fondamentalmente si può dire che lo si sta sempre più dimenticando, eppure ha filmato alcuni dei titoli emotivamente più intensi della storia del nostro cinema. Classe 1926, dopo l’esordio precoce con Le ragazze di san Frediano del 1954, si consacrò grazie all’opera seconda, Estate Violenta; fu molto attivo lungo il corso degli anni sessanta, girando, in rapida successione, La ragazza con la valigia, Cronaca familiare, il sottovalutato Le soldatesse e Seduto alla sua destra. Inoltre contribuì a completare Come, quando, perché dopo la morte del suo collega e amico Antonio Pietrangeli. L’inizio degli anni settanta coincise, per lui, con un insospettabile fermo registico e prima della morte nel 1982 girò solo altri due film: La prima notte di quiete, forse la migliore interpretazione della carriera di Alain Delon, e il kolossal d’autore Il deserto dei tartari, tratto da Dino Buzzati, la cui lavorazione lo lasciò particolarmente esanime.
La casa editrice Mattioli 1885 compie un’esemplare operazione di archeologia cinematografica con la pubblicazione di Pagine di un diario veneziano, il che permette di riscoprire le pagine di Gli anni delle immagini perdute, libro dimenticato, scritto, completato e licenziato da Zurlini durante un lungo soggiorno a Venezia tra l’inverno del 1981 e la primavera del 1982, ma pubblicato in tiratura limitata solo qualche mese dopo la morte del regista. Questa originaria edizione del volume di Zurlini, prefata da Pratolini e rivolta essenzialmente al circolo degli amici e dei frequentatori di Zurlini, si segnalava anche per la decisione di inserirvi all’interno tre sceneggiature irrealizzate, film mancati che segnavano un grande rimpianto per il loro autore, ormai poco convinto di poter tornare sul set dopo la sfiancante esperienza del Deserto dei tartari tra Cinecittà e l’Iran. Queste tre sceneggiature, l’esistenziale La zattera della medusa, lo strindberghianeggiante Verso Damasco e il più fosco Sole nero, sono state escluse dalla nuova edizione edita dalla Mattioli, non si capisce se per ragioni di lunghezza o di copyright – tra i coautori dei tre testi non mancavano firme importanti e nomi del calibro di Suso Cecchi d’Amico e Giorgio Albertazzi. Benché nel corso della lettura risulti un po’ straniante come Zurlini faccia a più riprese riferimento a passaggi specifici di testi che poi non si leggono, queste Pagine di un diario veneziano risultano una lettura magnetica e suggestiva, splendidamente introdotte da un’ottima prefazione dello scrittore Filippo Tuena, che aveva conosciuto personalmente Zurlini nei primi anni settanta.
Per essere, essenzialmente, l’autobiografia di un regista che pure ha segnato pagine importanti della storia del nostro cinema, queste Pagine sorprendono per l’assenza di riferimenti ai titoli più celebri della filmografia del loro autore: Il deserto dei tartari, che tuttora resta il film più conosciuto di Zurlini, non viene mai citato e non hanno miglior destino La ragazza con la valigia e La prima notte di quiete. Figure essenziali nel percorso registico di Zurlini, come l’attore e produttore Jacques Perrin, restano completamente ai margini, laddove il nostro spende moltissime parole a ricordare suoi amici pittori del calibro di Giorgio Morandi o di Renato Guttuso. L’unico film realizzato di cui queste Pagine di un diario veneziano parlano volentieri è, paradossalmente, il suo esordio Le ragazze di san Frediano, che anzi confessa di aver a lungo sottovalutato, considerandolo quasi un corpo estraneo; per il resto, le Pagine di un diario veneziano trasudano di un pesante disincanto nei confronti del mondo del cinema, della sua cialtroneria e della sua beffarda capacità di coltivare illusioni e speranze per i registi e gli autori, tutti asserviti in realtà a un sistema produttivo cinico, predatorio e spesso miope, almeno agli occhi di Zurlini. Non a caso, proprio Zurlini attribuisce – senza mezzi termini – a Carlo Ponti, il grande produttore marito e manager di Sophia Loren, la responsabilità per le crescenti difficoltà attraversate di anno in anno nel tentativo di realizzare nuovi film. Nel suo Diario veneziano, Zurlini riflette molto sui rapporti tra cinema e letteratura, arrivando a citare ampi passi di romanzi come I promessi sposi, Guerra e pace e anche Il grande Gatsby per ribadire che un grande scrittore è, in potenza, anche un grande cineasta e che il contrario non è affatto scontato.

C’è da dire che Zurlini, assieme ad Antonioni, è stato il regista italiano più vicino alle suggestioni dell’esistenzialismo letterario, benché ne fosse distantissimo in termini stilistici e ancor più politici. Come più volte ribadito in queste Pagine, Zurlini si sentiva cristiano ma non cattolico, molto vicino a certe concezioni sull’arte e sulla società propugnate dall’ultimo Tolstoj; e, forse, dei tre film perduti espunti dalla nuova direzione del testo, il più interessante poteva essere proprio Verso Damasco, che sarebbe dovuto essere ambientato in Palestina, a ridosso della morte di Gesù. Si sarebbe probabilmente trattato di uno dei non pochi film di Zurlini per cui tutto sembrava pronto con i sopralluoghi fatti e addirittura una parte dei teatri di posa già stati allestita a Cinecittà, ma che invece sfumò in un lampo per sopraggiunte incertezze economiche della casa di produzione. Per l’apparente distanza tematica, sorprende scoprire che, di tutti i registi italiani della sua generazione, quello che Zurlini sentiva più vicino fosse proprio Pier Paolo Pasolini, da lui conosciuto giovanissimo a Bologna mentre stava girando Estate Violenta e dolorosamente rimpianto dopo l’omicidio del 1975, come testimonia il fatto che Zurlini fosse arrivato a strappare un ramo dell’alloro che cresceva sulla tomba del poeta a Casarsa per conservarlo accanto al letto. Affascinanti e molto approfonditi i ritratti che Zurlini fa di Guttuso e di Morandi, altrettanto formidabile è il più breve profilo che il regista traccia del produttore Goffredo Lombardo, da lui descritto in una perenne alternanza tra vizi e virtù. Espunte le tre sceneggiature irrealizzate, al centro delle Pagine di un diario veneziano di Zurlini resta il grande racconto della Resistenza e non a caso era stato proprio militando da partigiano che il giovanissimo Zurlini aveva conosciuto tanto Morandi quanto Luchino Visconti, che a suo modo lo aiutò nei primi passi nel mondo del cinema.

Molto toccante il finale, con Zurlini che, nel Duomo di Parma, si trova a contemplare gli affreschi che Antonio Allegri il Correggio aveva lasciato incompiuti perché il mecenate insoddisfatto dei toni troppo paganeggianti dei dipinti, gli aveva ritirato l’incarico a metà strada. «Sorrisi fra me e me, ripensando la storia, e senza osare nessun paragone impossibile, conclusi che tutti i secoli sono uguali», riflette amaramente Zurlini, pensando a tutte le opere d’arte rimaste incompiute o del tutto irrealizzate per colpa di capricci dell’ultimo minuto di chi li doveva finanziare. «Arte. Questa parola breve e perfetta che significa verità, tenace sforzo della mente e del cuore, abbandono, umiltà, confessione, identità con l’emozione la speranza e il dolore del proprio tempo che è dono soprannaturale… senza di lei il mondo non avrebbe né senso né passato, perché è lei a raccontarceli». Nonostante la continuità, nei secoli, di quel gruppo di sedicenti potenti che utilizzano l’arte e la finanza artistica a meri scopi di potere, va fortunatamente detto che «i capolavori sono sempre nati».

Dominato da quelle tonalità crepuscolari che solo un inverno a Venezia potrebbe restituire, incompleto e proprio per questo più vicina allo spirito e alla biografia del suo autore, questa nuova edizione delle Pagine di un diario veneziano di Zurlini ci offrono l’occasione più unica che rara di entrare in un intenso contatto con l’interiorità di un regista.

Pagine di un diario veneziano. Gli anni delle immagini perdute
di Valerio Zurlini
prefazione di Filippo Tuena
introduzione dall’edizione originale di Vasco Pratolini
Mattioli 1885, 2022