Quando la storia si fa teatro

Al Liceo classico Manzoni di Milano, nell’ambito di Book City 2019, Marco Martinelli presenta la sua ultima fatica editoriale. Ed è subito leggerezza.

Tornare nelle aule scolastiche dopo anni in cui non si frequentano più, provoca emozioni che possono essere contrastanti, diverse a seconda dei ricordi personali. Chi proverà nostalgia, magari più per i compagni che per i libri; chi rimpianto per la gioventù; chi, ancora, fastidio per un periodo poco compreso e vissuto tra le altalene adolescenziali. Ma ciò che potrebbe o dovrebbe accomunare tutti è il ricordo di un sapere vivo, che ci ha arricchiti, incuriositi, aperti al mondo. Il libro di Marco Martinelli, Nel nome di Dante, rientra in questo solco, quello della rimessa in vita della storia (che è anche la base poetico-estetica del suo teatro e delle Albe).

Il taglio del libro è fortemente cinematografico (forse anche grazie alle recenti esperienze dietro alla macchina da presa del suo autore), con un montaggio serrato tra la vita di Dante e quella del proprio padre, Vincenzo. All’interno di questa struttura narrativa già ben ritmata che, nel confronto tra le vicende di un uomo medievale a quelle di un nostro contemporaneo attualizza la sofferenza di un “ghibellin (che non era, Foscolo permettendo) fuggiasco”, si inseriscono ulteriori meccanismi in grado di creare una successione di scene che, a sua volta, restituisce l’effetto filmico (e utilizzare tale termine è voluto). La dimensione visiva della scrittura di Martinelli è tale da ricreare le scene di fronte ai nostri occhi come fa, naturalmente, la pellicola. D’un tratto ci troviamo coinvolti nella mischia della battaglia di Campaldino e mai avremmo pensato di poter sentire il fragore degli zoccoli mischiato alle urla, l’odore del sangue che infradicia la terra inzozzandola, l’angoscia e il senso di incredulità di un semplice soldato che non sa se vedrà il tramonto. Come l’esperienza della non-scuola, ideata da Martinelli (con Maurizio Lupinelli), da anni rivitalizza tragedie greche e shakespeariane nelle scuole di tutta Italia, così il libro su Dante, con questa sua scrittura insieme realistica e poetica, riesce a coinvolgere il lettore facendogli rivivere un frammento di passato, ma soprattutto costringendolo a provare le medesime emozioni perché l’universalità che, spesso, si attribuisce a Shakespeare o Dante (solo per citare due nomi ovvi) discende dalla capacità di questi autori di rendere i sentimenti propri della natura umana – validi ieri, come oggi o domani.
Inoltre, come in un film di Truffaut (si pensi a Le due inglesi), Martinelli aggiunge un altro elemento. La voce over, il narratore, è Marco stesso che ci accompagna attraverso gli scritti di Dante legandolo alla sua, ma anche alla nostra, esistenza. C’è molto pudore nel racconto del personale, niente di più distante dal desiderio di esibizionismo che ammorba i nostri talk show e reality. E c’è molto affetto per il maestro della lingua italiana, quasi Martinelli raccontasse di un compagno di strada scrittore. E infine c’è gioia nel racconto e un desiderio di trasmetterla a chi, magari su un banco mezzo scheggiato, assonnato, intorpidito da quelle nozioni spesso sciorinate con poca voglia da professori stanchi, ha in sé tutte le possibilità di un futuro che è pronto a dispiegarsi.