Il personaggio oltre la persona nella torsione dialettica del narcisismo postmoderno

Venerdì 17 giugno, al Villa Ada Festival, il cantante pisano è tornato a raccontarsi provando a dar voce alla “propria” crisi generazionale.

Francesco Motta è ormai un personaggio di lungo corso nella scena musicale italiana d’autore. Polistrumentista, già leader dei Criminal Jokers, Migliore Opera Prima al Premio Tenco con La fine dei vent’anni, il cantautore toscano è uno degli interpreti più riconoscibili del panorama delle cosiddette band della catastrofe, “forzando” il riferimento al fondamentale testo del nostro Alessandro Alfieri, Musica dei tempi bui. Nuove band italiane dinanzi alla catastrofe (edizione Orthotes).

Il concerto di ritorno a Roma, allo storico festival di Villa Ada di cui è già stato più volte ospite, testimonia in maniera esemplare la qualità scenica di un artista capace di calcare il palco con straordinaria energia e di mostrarsi perfettamente consapevole del proprio ruolo “sciamanico” nei confronti del nutrito zoccolo duro di fans che è tornato a seguirlo con grande entusiasmo fin dall’atteso ritorno live nei Club (primavera del 2022). La serata di venerdì ha ben confermato tutto quanto ci si poteva aspettare dal cantante tosco-romano sia dal versante musicale, sia da quello della presenza performativa. Motta interagisce come un capopopolo con il pubblico, sa come sedurlo e chiamarlo a raccolta, e il pubblico gli risponde a tono donando ulteriore colore e “volume” tanto alle melodie più dure e noisy, quanto alle liriche più intimiste e armoniose. La poetica di Motta attraversa amplificazioni distorte ed heavy, si dispiega tra sospiri ammiccanti e urla a squarciagola e si adagia sapientemente su umori e toni meno dirompenti, di maggiore complicità emotiva, per così sfociare su un atteggiamento com-patetico nei confronti di chi lo ascolta.

Riflessioni ed emozioni tratte dai singoli dei tre album studio si intrecciano vorticosamente, intramezzati dalle “arringhe” del cantante che dimostra di saper giocare con ironia e rabbia con il proprio “interlocutore di massa”. Tuttavia, la sua energia trabocca, forse con troppo manierismo, non tanto dai testi, quanto dalle movenze rocker della sua esile figura d’antan dando l’impressione che gli arrangiamenti e le sonorità siano una sovrastruttura al racconto “fisico” dell’autobiografia che vuol proporre alla generazione dei quasi quarantenni a cui appartiene.

Forse proprio sul crocevia tra un ruolo da performer svolto in maniera impeccabile e l’evidente ristagno dei nuovi testi di Semplice, le cui rime oscillano tra inconsistente vaghezza, mancanza di suggestione, cliché e ovvietà, Motta sembra evidenziare una costruzione del sé artefatta (E poi finisco per amarti) e un narcisistico qualunquismo (A te, ma anche gli stucchevoli giochi di luci con le lettere del cognome sovrapposte e illuminate a led). Rispetto ai tempi di Roma stasera o de La nostra ultima canzone, Motta appare da un lato essere cresciuto nella “gestione” letteraria dei testi, ma allo stesso tempo sembra puntare eccessivamente sulla retorica di una capacità affabulatoria che risulta già – al terzo disco – aver disperso i propri migliori contenuti per inseguire il consenso immediato, incespicando su dichiarazioni maldestramente contraddittorie, come quando esalta i concerti dal vivo dopo aver detto «i concerti sono dei club» (in una recente intervista a Musicadalpalco).

La serata del 17 appare allora essere stata più un evento o un rito teatralizzato che un concerto durante il quale una comunità può condividere il proprio disincanto e scoprire che la sofferenza è una dimensione privata e propria ma anche “diffusa” e “umana”. Si spera, visto l’indiscusso talento dell’artista pisano, che la sua evoluzione non sia quella di un brand consolatorio, assorbito dalla finta dialettica tra indie e mainstream e appagato dall’efficacia commerciale di chi incarna la tendenza ribellistica – apparentemente rivoluzionaria, ma perfettamente innocua – del vortice consumistico

Villa Ada Festival
presenta
Villa Ada Savoia
via Salaria, 265, Roma
17 giugno 2022

Motta
Francesco Motta (voce, chitarre, percussioni), Cesare Petulicchio (batteria), Giorgio Maria Condemi (chitarre), Carmine Iuvone (violoncello), Matteo Scannicchio (tastiere ed elettronica) e Francesco Chimenti (basso e violoncello)

Setlist
Prenditi quello che vuoi
Del tempo che passa la felicità
E poi finisco per amarti
Quello che siamo diventati
Semplice
Prima o poi ci passerà
Quello che non so di te
Sei bella davvero
Via della luce
Abbiamo vinto un’altra guerra
Chissà dove sarai
Fango
La nostra ultima canzone
A te
La fine dei vent’anni
Se continuiamo a correre
Ed è quasi come essere felice
Roma stasera
Quando guardiamo una rosa