Onora la madre

Più che un film, una puntata allungata di Sex on the city, dove le attrici fanno smorfie indegne credendosi buffe e spiritose. Su tutto, domina comunque il culto della famiglia come luogo d’amore e comprensione, tipico della società americana. Una celebrazione di valori tanto falsa quanto stucchevole.

La vita di tre madri di altrettante diverse generazioni: Sandy si trova bene da divorziata, finché non scopre che il suo ex marito si è risposato con una donna molto più giovane e deve quindi affrontare il fatto che i suoi due figli hanno ora una nuova madre acquisita. Le sorelle Jesse e Gabi ricevono una visita a sorpresa dai genitori, per nulla contenti di scoprire che Gabi è lesbica e Jesse è sposata con un indiano. Miranda non ha figli (o almeno così dice) e si concentra sulla carriera. Kristin è contenta della sua vita da neomamma, ma il suo ragazzo insiste affinché si sposino. Dopo la morte della moglie, Bradley cerca di esser il miglior genitore possibile per le sue due figlie, finendo col divenire  opprimente.

Convenzionale nella messinscena, il film mira al massimo del coinvolgimento possibile da parte dello spettatore: non a caso, i protagonisti appartengono a diverse fasce d’età, dai venti ai cinquant’anni, a garantire così, almeno nell’idea degli sceneggiatori, il maggior grado d’identificazione possibile da parte dei diversi tipi di pubblico. Malgrado le iniziali scaramucce e incomprensioni (anche queste banalissime: i genitori conservatori che disapprovano il lesbismo della figlia e il matrimonio interrazziale della seconda), tutto si accomoda nel finale, nel segno di un  ecumenismo fondato su uno dei pilastri della mentalità americana: la famiglia come cellula fondante della società, al cui interno tutti i possibili dissidi si ricompongono nella suprema unità che vede il nucleo familiare contrapposto all’altro da sé, foss’anche lo stato. Il tutto espresso secondo la più rigorosa legge della trasparenza, per cui l’istanza narrante tende a celarsi e a svanire dietro agli eventi narrati, come se la storia si raccontasse da sé. Ci si trova dunque dinanzi ad un tipico esempio di cinema classico, di quello professionalmente confezionato e costruito apposta per compiacere il pubblico che, nelle intenzioni del regista, dovrebbe rincasare soddisfatto di quanto appena visto. Le scene comiche si alternano a quelle (poche in verità) drammatiche, quelle di relativa tensione (il bambino condotto in ospedale in seguito ad un attacco asmatico), si risolvono ben presto e lasciano il posto ad una nuova svolta romantica: passata la paura per il figlio, Sandy incontra in ospedale una possibile nuova occasione sentimentale. Una simile alternanza (dal comico, al drammatico, al romantico) viene dosata dagli autori e dal regista con una tale fredda meccanicità da riuscire del tutto fasulla ad una visione un minimo avvertita. Se non ci si lascia coinvolgere dal flusso narrativo (e, data la sua prevedibilità, è impresa piuttosto facile), ci si accorge facilmente di come ogni elemento del film sia dosato per suscitare una precisa reazione nello spettatore, almeno in quello che sta al gioco: si ride alle scene comiche, si partecipa a quelle drammatiche, ci si appassiona a quelle romantiche. Finito lo spettacolo, finisce anche il coinvolgimento dello spettatore, pronto per un film analogo che lo diverta, l’appassioni e lo commuova quanto basta a garantirne il coinvolgimento. Lo spettatore esce dal cinema contento e pronto per un nuovo prodotto identico che gli dia esattamente ciò che vuole, così come lo vuole. Un coinvolgimento che tocchi le corde più profonde dello spettatore, che lo chiami in causa e ne preveda un rapporto più adulto e complesso col film che sta guardano, è bandito da questo tipo di cinema. Qui siamo, davvero, al grado zero della rappresentazione.

Titolo originale: Mother’s Day
Regia: Gary Marshall
Soggetto: Lily Hollander, Matt Walker, Tom Hines, Gary Marshall
Sceneggiatura: Anya Kochoff Romano, Matt Walker, Tom Hines
Fotografia: Charles Minsky
Montaggio: Bruce Green, Robert Malina
Musica: John Debney
Scenografia: Missy Stewart
Costumi: Marilyn Vance, Beverly Woods
Interpreti: Jennifer Aniston, Kate Hudson, Julia Roberts, Tymothy Olyphant, Shay Mitchell, Caleb Brown, Brandon Spink, Sam Marshall
Prodotto da: Brandt Andersen
Genere: Commedia
Paese: Stati Uniti
Durata: 118′