La fantascienza di chi resta

Per il Ravenna Film Festival, con Mare Infinito il regista portoghese Carlos Amaral tenta, e in parte riesce, un esperimento di fantascienza meditativa.

La rielaborazione autoriale degli stilemi del cinema di fantascienza è molto più comune degli esperimenti di horror d’autore, risale almeno ai tempi dell’Odissea nello Spazio di Kubrick e di Solaris di Tarkovskij, ed è ormai diventata quasi un genere a sé, con i suoi codici, i suoi ritmi meditativi e le sue tematiche. Il film portoghese Mare Infinito di Carlos Amaral si riallaccia completamente a questo filone del cinema d’autore occidentale: non sorprende, perché a film così siamo tutto sommato avvezzi, ma certo avvince e ipnotizza, almeno nelle sue sequenze più visionarie.

«Ti sei mai chiesto come sarebbe? Attraversare una galassia e dormire per l’eternità. Camminare su un altro pianeta, lasciandoti tutto alle spalle. Lo hai mai sognato?». Sin dal voice-over iniziale Mare Infinito dispiega nitidamente il suo tema di fondo, il pensiero ricorrente che muove le azioni del protagonista Pedro. Pedro vorrebbe lasciarsi alle spalle la Terra e le sue brutture – la rappresentazione del futuro è molto realistica, nonché piuttosto squallida, nel film di Amaral – ma viene respinto dal programma selezione di candidati. Sarò l’incontro con una donna, dal nomen omen Eva, a fargli mettere in dubbio i suoi obiettivi.

Sin da quelle prime battute fuori campo, Mare Infinito sembra volersi rivolgere in maniera consapevole e diretta “contro” la pulsione di fondo che grosso modo accomuna il genere fantascientifico nella sua interezza, il bisogno di evasione. Nella sua prosecuzione, Mare Infinito mostra questo bisogno di evasione essere messo “sotto scacco” – e a più riprese problematizzato – dai vari eventi e dialoghi che coinvolgono Pedro – l’incontro con Eva scombina ulteriormente le carte in tavola, azzerando questo bisogno di evasione e al tempo stesso riproponendolo al massimo grado.

Muovendosi su questa linea latentemente metacinematografica e metafantascientifica, Mare Infinito si ritrova a ripercorrere sentieri già tracciati da altri – la mente va presto a The Zero Theorem di Terry Gilliam, per dire – ma lo fa con una sincerità e un’autenticità indiscutibili, che rendono il film piuttosto vivido. Nei primi minuti e in svariati altri momenti del film trovano spazio delle sequenze visionarie, se non del tutto oniriche, che rappresentano dapprima le fantasie di fuga spaziali di Pedro, poi come cambia la sua vita all’arrivo di Eva. Si tratta senza dubbio dei momenti più alti del film, estremamente suggestivi e densi di richiami, il più delle volte giocati sull’elemento dell’acqua con il suo innegabile simbolismo psichico.

Se si mettono da parte queste visioni oniriche, Mare Infinito lascia spesso scorgere i limiti del suo basso budget, alcune scene risultano un po’ troppo verbose, in generale le parti più realistiche, più “futuro-realistiche”, mancano un po’ di mordente – ma questa struttura ricorrente, in cui le scene di visione diventano presto un appuntamento fisso tanto per il protagonista quanto per lo spettatore, riesce – in un certo modo – a portare anche le scene meno riuscite a tratteggiare lo stato d’animo di Pedro e il suo bisogno radicale di evasione.

Titolo: Mare Infinito (Infinite Sea)
Regista: Carlos Amaral
Sceneggiatura: Carlos Amaral
Attori principali: Nuno Nolasco, Maria Leite, Paulo Calatré
Scenografia: Júlio Alves, Susana Azevedo
Fotografia: Jorge Quintela
Montaggio: André Guiomar
Produzione: Bando à Parte
Durata: 78’
Genere: fantascienza, drammatico
Uscita: n.d.