L’arte del compromesso

Joseph Cedar fa centro alla sua prima produzione internazionale. Il suo Norman è complesso, attuale, privo di sbavature e visivamente ricercato. Un film che lancia Richard Gere, nel pieno di una rinascita artistica, nella corsa agli Oscar.

Norman Oppenheimer si è inventato faccendiere e tuttofare per ipotetici clienti della classe dirigente newyorkese. Offre favori, tesse reti di conoscenze, è sempre disponibile per i compiti più disparati.
Un po’ per indole e un po’ per deformazione professionale, tampina i potenziali obiettivi e li insegue senza sosta, per strada o al telefono, fino a ottenere ciò che desidera, spesso in un’infinita catena conto terzi.
L’incontro con Micha Eschel, futuro primo ministro israeliano, è però destinato a turbare il suo microcosmo e a trascinarlo in un gioco molto più grande, che rischia di inghiottirlo.

La politica è l’arte del compromesso. Taciuto oppure esposto, non fa differenza.
Una tesi abbracciata, sia tacitamente che alla luce del sole, da Joseph Cedar e dal suo L’incredibile vita di Norman. Nessuna lezione morale o storia vera ammonitrice da raccontare. Il regista di origini israeliane, già messosi in luce con Beaufort e Hearat Shulayim, gioca sulla chiave grottesca e sulla deformazione caricaturale. Una chiave che risulta cristallina già dal titolo originale (Norman: the moderate rise and tragic fall of a New York fixer) e che è andata perduta nell’adattamento italiano, ma che sottolinea fin dal principio la declinazione tragicomica.
Nei quattro atti in cui è divisa la pellicola seguiamo Norman nel tentativo di districarsi nella rete che lui stesso ha costruito, tra falsi amici che hanno giovato dei suoi contatti e che hanno deciso deliberatamente di ignorarlo o semplicemente di sfruttarlo; in costante equilibrio tra genio e ingenuità, Norman costruisce castelli di carta sorretti da impalcature di menzogne, nella speranza che resistano all’inevitabile ciclone in arrivo. Cedar, per declinare ogni sfaccettatura, si affida a una regia pulita e precisa, rispolverando al contempo virtuosismi e ricercati split screen che comunque non intaccano il rigore complessivo.
Al contrario, i preziosismi ingigantiscono la figura del protagonista: un tuttofare, uno scroccone o un semplice uomo che sbarca il lunario? Forse nessuna, forse tutte. Un difficile equilibrio mantenuto anche per merito di un Richard Gere impeccabile, che si fa piccolo in un ruolo denso di dettagli, minimalismo e sottrazione; un personaggio tenero eppure esasperante, furfante senza averne reale coscienza. Gli fa da contraltare Lior Ashkenazi, alla prima partecipazione a un produzione internazionale, col suo Micha Eshel che si fa quintessenza del potere e della sua doppiezza, mettendo in risalto sia l’umanità della persona che la fermezza dell’ambizione. Non è infatti importante che la pace nella Striscia sia raggiunta, ma chi verrà ricordato per averla siglata. Qualunque sia il costo morale (e ovviamente economico) da pagare.
Al netto dei conti, Norman Oppenheimer sarà anche il più classico dei falliti che si è sollevato per caso dalla mediocrità, ma il racconto della sua vita brilla di luce propria. Uno splendore che non scende a facili e banali compromessi con lo spettatore; un pregio che non si dovrebbe mai smettere di sottolineare né dare per scontato.

Titolo originale: Norman: the moderate rise and tragic fall of a New York fixer
Nazionalità: Israele, Stati Uniti
Anno: 2016
Genere: Drammatico
Durata: 117′
Regia
: Joseph Cedar
Interpreti: Richard Gere, Lior Ashkenazi, Michael Sheen, Steve Buscemi, Josh Charles, Charlotte Gainsbourg, Ann Dowd, Dan Stevens, Hank Azaria
Sceneggiatura: Joseph Cedar
Produzione: Miranda Bailey, Oren Moverman, Tadmor, Cold Iron Pictures, The Rabinovich Foundation, The Jerusalem Film Fund, Keshet International
Distribuzione
: Lucky Red
Fotografia: Yaron Scharf
Montaggio: Brian A. Kates
Musiche Originali: Jun Miyake

Nelle sale italiane da giorno 28 Settembre 2017