L’avvincente gioco della ricostruzione della verità

How to get away with murder – letteralmente Come evitare una condanna per omicidio e tradotto in italiano ne Le regole del delitto perfetto – è una serie americana trasmessa dalla ABC dal 2014 al 2020.

Creata da Peter Nowalk e prodotta da Shonda Rhimes, la serie si presenta con gli elementi necessari del thriller giudiziario che si evolve nelle intrinseche tematiche psicologiche, emotive, temporali, visivamente restituite dall’irrefrenabile susseguirsi di eventi consequenziali. Riflettendo sulla valenza moralmente giusta o sbagliata delle scelte possibili all’interno del sistema giudiziario statunitense, How to get away with murder propone una riflessione su chi sia da considerare “buono” e, dunque, “cattivo” nella nostra società.

How to get away with murder segue le vicissitudini della rinomata e cinica avvocatessa Annalise Keating. Insegnante nella prestigiosa Middleton di Philadelphia, il corso che la professoressa tiene (e “ama”) si chiama proprio «come evitare una condanna per omicidio». Nelle primissime lezioni, Keating sceglie i Five Keating, ossia cinque studenti – ognuno dei quali a suo modo “speciale”, come si verrà a scoprire nel corso della serie – che verranno impegnati come tirocinanti nella risoluzione dei casi più disparati. Essa, la risoluzione, li vede però, insieme alla professoressa, coinvolti e legati a un omicidio di cui lo spettatore potrà intendere la natura soltanto al termine della stagione mettendo insieme tutti gli indizi forniti dai numerosi flashback e flashforward. Inoltre, ogni caso conduce anche a nuove scoperte sulla figura di Wes Gibbin, forse il più speciale dei Five, nonché sulla stessa professoressa. Con incedere frenetico e alternato, la storia procede per le sei stagioni in un susseguirsi di eventi che coinvolgono tutti i protagonisti.

How to get away with murder si svolge dunque con tutti i crismi di una partita a scacchi: strategia, bugie e giochi psicologici vedono al centro, nei panni di regina, Annalise Keating, affiancata dalle “torri”, Bonnie Winterbotton e Frank Delfino (che, nonostante dissapori e critiche, le rimarranno sempre fedeli). Anche le pedine, Michela Pratt, Connor Walsh, Oliver Hampton,  Wes Gibbins, Laurel Castillio, Asher Millstone e Nate Lahey giocano un ruolo indispensabile nel corso di ogni “partita”. L’evoluzione dei personaggi, nei loro tratti caratteriali e nella loro vita privata, si fonde poi in maniera perfetta con l’intreccio del racconto, diramandosi nelle tematiche Made in USA del razzismo, dell’orientamento sessuale, delle dipendenze e del ruolo della giustizia.

A subire sostanziali cambiamenti sarà proprio il personaggio di Annalise Keating, che si presenta inizialmente come donna irremovibile e cinica nel portare avanti la propria carriera, aspetto dovuto al fatto di essere una donna nera in un mondo di uomini bianchi. Nonostante appaia spietata e senza rimorso, pronta a vincere con le sue arringhe qualsiasi processo a prescindere dal fatto se il suo cliente sia effettivamente colpevole o non colpevole, la “regina” promuove comunque sim-patia dal momento che sembra portare il peso del mondo su se stessa facendosi carico degli sbagli altrui e cercando di porvi rimedio.

Abusata dallo zio da piccola e cresciuta in un’ambiente familiare violento, la professoressa ha infatti perso il primo amore (Eve) per l’incapacità di affrontare la propria omosessualità: sposato il proprio terapista, Keating perde poi il figlio in un incidente stradale (tra l’altro, partorito in una situazione di lacerante difficoltà). Dopo la morte del marito/terapista (omicidio), gli svariati processi in cui è costretta a accusare innocenti e le diverse morti legate a eventi consequenziali, Annalise Keating precipita anche nell’alcolismo e nella depressione. Da qui emerge il grande senso di colpa che la caratterizza: Annalise Keating vuole sentirsi responsabile di tutto quello che le è accaduto “solo” per riuscire a redimersi e a ogni stagione cercare di ricominciare ripetendosi «siamo delle brave persone ora».

L’avvocato Keating nel corso della storia emergerà in tutta la sua fragilità e di essa farà la sua forza: non più una super donna, forte e indistruttibile, ma essere umano innervato di problematiche e limiti da affrontare prendendone consapevolezza. Caduta più volte, la “regina” non si dà mai per vinta ed è interessante la scena della tredicesima puntata della quarta stagione, in cui, nel momento di presentare alla Corte della Pennsylvania il primo caso della sua Class Action, un attacco di panico e sensi di colpa, sembreranno farla tirare indietro:

A.K.: Non posso, okay, vai tu, devi farlo tu, ti prego.
O.P.: No…
A.K.: Nessuno conosce questo caso meglio di te.
O.P.: Non posso presentarmi io davanti alla Corte Annalise, solo tu. Perciò parla con me, cosa ti serve per entrare in quell’ aula. Perché deve accadere adesso. Dimmi quello che ti serve e te lo procuro.
P.P.P A.K: Vodka.
O.P (annuisce in silenzio): Okay… (rivolta ad Michela Pratt) dì a Marcus di rimediare della Vodka.
M.P: È un’alcolista verrà radiata se beve.
O.P.: Lo so…
M.P.: In un tribunale normale qui siamo alla Corte Suprema…
O.P: Michela. Marcus. Vodka. Corri.
[…]
O.P. (porgendo la bottiglia a A.K.): Qualunque cosa che pensi sia nella bottiglia è già dentro di te, io lo so ma non ho il tempo di convincertene, quindi se pensi di dover bere, bevi.
Annalise Keating guarda la bottiglia e Olivia Pope e con grande coraggio decide di farne a meno ed affrontare il processo e i suoi problemi.

Annalise è la leader indiscussa della serie: se gli altri personaggi sono corali e non a caso vengono presentati in gruppo, lei fa la sua entrata in aula seguita dalla macchina da presa, come se incarnasse lo stesso sguardo dello spettatore. La scelta stilistica fa capire che, da subito, l’intreccio evolutivo del racconto, dei personaggi e della loro vita privata saranno condizionati dalla figura di Annalise e di conseguenza dalla sua vita e dalle sue scelte.

Già nella prima stagione è possibile individuare caratteristiche essenziali per capire le dinamiche delle successive, accomunate dalla stessa struttura e sempre ricchissime di salti temporali. Si susseguono e intrecciano due linee narrative, quella del “presente”, che segue l’omicidio di turno, e quella della del “futuro”, che suggerisce sempre più elementi su un omicidio che i protagonisti andranno a commettere (restituito esteticamente da inquadrature più cupe, tonalità verdi e l’emissione di un suono). Per un’intera stagione si è richiamati – come i personaggi – a unire tasselli per scoprire la verità, ed è solo nella nona puntata (nel caso della prima stagione) che si assiste a un punto di svolta, dal momento che si scopre come Sam Keating, vittima dei continui salti nel tempo del futuro, sia stato ucciso dai Five.

Da qui la direzione cambia e si compie la “svolta”: la professoressa Keating era in realtà al corrente dell’omicidio del marito da parte dei tirocinanti, ma ha scelto di proteggerli, sviluppando di fatto un morboso rapporto madre-figlio con ognuno dei protagonisti secondari.

L’ultima puntata introduce alla seconda stagione con la scoperta (finalmente) della verità, grazie a un flashback sull’omicidio della studentessa Lila Stanger. A ucciderla era stato Frank Delfino su ordine di Sam Keating, ma per quale motivo Frank ha svolto fedelmente l’ordine? Il movente non è chiaro e lascia le porte spalancate per la storia nelle stagioni successive.

Nonostante sia una serie finalizzata all’intrattenimento, il tono surreale nel quale si intrecciano e si ripetono situazioni e fatti lascia libera la riflessione su principi e valori come la fedeltà e la giustizia, sulle scelte giuste e sbagliate in cui chi guarda può ritrovarsi a non essere solo spettatore.