Coming out of age

Recensione L’immensità. A undici anni da La terraferma, Emanuele Crialese torna finalmente a dirigere un film. Il suo nuovo titolo è L’immensità, un’immersione nell’Italia degli anni settanta che, come è stato recentemente rivelato, si ispira al percorso di transizione di genere dello stesso regista.

Emanuele Crialese è uno dei registi italiani più interessanti in circolazione. Benché la sua filmografia sia numericamente ben più esigua, il suo body of work non sfigura affatto accanto a quelli di registi come Paolo Sorrentino o Luca Guadagnino. Del resto, basti pensare alle attrici che ha diretto di film in film: nomi come Valeria Golino, Donatella Finocchiaro, Charlotte Gainsbourg e adesso anche Penelope Cruz, che spesso hanno dato alcune delle migliori interpretazioni della loro carriera sotto la direzione di Crialese. Quanto recentemente è diventato di pubblica materia sul suo vissuto personale e la transizione di genere, non ci interessa molto. Quello che conta è che, dopo aver firmato opere notevoli come Respiro, Nuovomondo e Terraferma, undici anni di silenzio registico si siano interrotti con la presentazione al Lido del suo quinto lungometraggio, L’immensità.

«L’immensità è il film che inseguo da sempre: è sempre stato “il mio prossimo film”, ma ogni volta lasciava il posto a un’altra storia, come se non mi sentissi mai abbastanza pronto, maturo, sicuro», ha scritto Crialese nelle note di regia diffuse dal Festival. «Come tutti i miei lavori, in fondo è prima di tutto un film sulla famiglia: sull’innocenza dei figli, e sulla loro relazione con una madre». Lo spunto è autobiografico, ma è trattato con molto distacco: in una famiglia altoborghese della Roma degli anni settanta, che vive una vita attutita in uno sfarzoso attico pieno di tappeti e di vestiti, si consumano diversi drammi famigliari in parallelo. Da un lato, una crisi di coppia, che esplode quando la segretaria rivela alla madre di famiglia, un’eccellente Penelope Cruz, di aspettare un figlio da suo marito; dall’altro lato, il comportamento, inspiegabile almeno agli occhi del padre, della figlia maggiore, che non vuole farsi chiamare Adriana ma Andrea, e che ritiene di essere un maschio o tutt’al più un extraterrestre inviato sulla Terra da una razza aliena con cui, nell’incipit del film tenta invano di comunicare. Perno sia visivo sia emotivo del film è il personaggio di Penelope Cruz, madre, moglie e innanzitutto donna guidata da una forte libertà interiore e da un profondo anticonformismo che non teme di esternare: non per nulla, è lei l’unica che, se non condivide, quantomeno non si oppone e non ritiene malate le fantasie della figlia circa l’essere-maschi.

A livello stilistico, un po’ come accadeva in un analogo caso di autofiction presentato alla Biennale lo scorso anno È stata la mano di Dio di Sorrentino, ne L’immensità Crialese mette un po’ da parte il suo tono sospeso e trasognante: certe trasfigurazioni emotive che avevano reso il racconto dell’emigrazione italiana negli USA di Nuovomondo un vero e proprio capolavoro, ne L’immensità non ci sono più; è tutto ancorato a una buona dose di realismo, se vogliamo di realismo storico; nel film ci sono pure tre sequenze “oniriche”, quasi un po’ da musical, ma risultano marginali nelle dinamiche complessive di montaggio. Senza dubbio la musica qui gioca un ruolo particolarmente importante, tra esibizioni di Raffaella Carrà che hanno fatto la storia della televisione italiana, e L’immensità di Don Backy che dà il titolo al film e ne accompagna i titoli di coda.

In ogni caso, prescindendo dai precedenti lavori di Crialese tanto più che questo film arriva dopo una sosta professionale durata più di un decennio, è difficile indicare qualche elemento che non funzioni ne L’immensità. Cruz è notevole e tutti gli altri attori, soprattutto i bambini, fanno un buon lavoro. La regia è sicura, asciutta, senza virtuosismi, osservativa, mai troppo empatica, mai troppo fredda. La fotografia dell’ungherese Gergely Poharnok, ormai un habitué dei set italiani, è nel complesso buona, e tocca alcuni momenti davvero alti nella sequenza della casa al mare, al tramonto, con Penelope Cruz in backlight. Ai costumi c’è il lavoro del pluricandidato all’Oscar Massimo Cantini Parrini, ormai una garanzia assoluta: rispetto ad altri suoi film anche recenti come quelli di Garrone o dei fratelli D’Innocenzo, gli abiti de L’immensità spiccano certo di meno, ma resta notevole l’attenzione filologica alla ricostruzione del momento storico e alla resa dei caratteri dei personaggi attraverso lo studio dei colori e della fattura dei vestiti.

L’immensità tratta di petto alcune tematiche fin troppo calde del dibattito pubblico contemporanee, in un modo tutt’altro che banale. Probabilmente sarà banalizzato e già fin troppi articoli di giornale hanno spostato l’attenzione dal film al coming out fatto dal regista in occasione della presentazione del film. Ma certe questioni per l’appunto extrafilmiche non intaccano la qualità di un’opera e proprio le sue tematiche, assieme alla presenza di una star internazionale del calibro di Penelope Cruz come protagonista, lasciano augurare a L’immensità di avere successo e riscontri anche a livello internazionale.

Titolo: L’immensità
Regista: Emanuele Crialese
Sceneggiatura: Emanuele Crialese, Francesca Manieri, Vittorio Moroni
Attori principali: Penelope Cruz, Luana Giuliani, Vincenzo Amato, Patrizio Francioni
Scenografia: Dimitri Capuani
Fotografia: Gergely Poharnok
Montaggio: Clelio Benevento
Costumi: Massimo Cantini Parrini
Produzione: Wildside, Chapter 2, Warner Bros. Pictures, Pathé Pictures, con il contributo del Ministero della Cultura, Canal Plus, France 3
Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia
Durata: 97’
Genere: drammatico, di formazione
Uscita: 15 settembre 2022