Al cinema con tutti i colori del nero

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Analizzando il classico confronto-scontro hollywoodiano tra la Natura, divinità maestosa e terribile al centro di tanta cultura americana (si pensi all’individualismo naturista di Henry David Thoreau, Herman Melville, Ernest Hemingway o Jack Kerouac) e il Denaro, narrativamente dominante in quanto creazione umana e quindi spregevole nelle sue aberrazioni, emergerà, infatti, che pochi autori come il nostro hanno saputo deridere, se non addirittura demolire, miti e stereotipi quale quello che vede la prima riuscire, infine, a consumare la sua beffarda vendetta sul secondo.

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Laddove, ad esempio, noti film come Rapacità (Greed, 1924, di Erich von Stroheim) e Il Tesoro della Sierra Madre (The Treasure of the Sierra Madre, 1948, di Huston) mostrano l’avidità, la competizione venire punita, rispettivamente, dalla selvaggia, ipertrofica Death Valley che imprigiona Mac Teague in fuga con 5000 dollari e da un vento purificatore che disperde (“naturalizza”) l’oro inseguito in maniera ossessiva da Fred C. Dobbs e compari (da sempre simbolo di potere,il prezioso metallo giallo è anche “moneta internazionale” in grado di comprare popoli e sovrani e di sostituirsi alle banconote correnti), Thompson, in Rapina a mano armata (The Killing, 1956), da lui stesso sceneggiato insieme al regista e fan Stanley Kubrick (il cineasta newyorkese definì L’assassino che è in me «il più spaventoso e credibile racconto in prima persona su una mente criminale che abbia mai letto»), narrando di come la difesa delle identità del variegato gruppo di protagonisti (il cassiere George Peatty e il barista Pike O’Reilly vivono solo per contentare le amate Sherry e Ruthie, una pulsione amorosa verso il capobanda ed ex galeotto Johnny Clay guida le azioni del contabile Marvin Unger, il desiderio di emancipazione sociale muove sia il poliziotto Randy Kennan che il sopraccitato Clay interpretato da Sterling Hayden), passi attraverso una provvidenziale rapina ad un ippodromo, mostra come nell’America odierna il denaro sia ormai penetrato in tutti i sottosistemi sociali e in tutti gli strati della società, della persona e, appunto, della natura (simbolicamente, se nello hustoniano Giungla d’asfalto è l’impossibile corsa verso dei cavalli liberi e selvaggi ad accompagnare la perdita del bottino e della vita da parte del gangster Dix Handley, ancora interpretato da Hayden, qui è invece un cagnolino pettinato e infiocchettato a provocare lo spargersi delle banconote nel vento che decreta la fine di Clay).

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Anche in Orizzonti di gloria (Paths of Glory, 1957), film nuovamente kubrickiano sceneggiato in collaborazione con Calder Willingham e il regista, Thompsonpresenta la guerra, nello specifico quella mondiale combattuta dal 1914 al 1918, come un diabolico marchingegno utilizzato da un potere che perpetua se stesso calpestando la vita e propagando il morbo della corruzione e della paura. Una sorta di mostro conflittuale che si alimenta di sé e della sua paradossale logica: i generali francesi Broulard e Mireau, che impegnati nella logorante guerra di trincea con la Germania cercano dapprima di accrescere il loro prestigio ordinando uno scriteriato, disastroso attacco a un’imprendibile postazione nemica e poi di ristabilire la loro autorità decidendo di punire con la pena capitale tre soldati semplici eletti a simbolo della (presunta) viltà della truppa, non sono nient’altro che marionette, attuatori, più o meno consapevoli, delle strategie delsuccitato Corporate Banking, il quale, proprionel cruciale periodo 1907 – 1918 si consolidava in America con la nascita del Federal Reserve System (che aveva sfruttato una grave crisi di liquidità causa di panico tra i risparmiatori), e in Europa contribuendo ad alimentare quelle ostilità di vecchia data che sfociarono in un conflitto capace di assicurare ghiotte occasioni di guadagno, nonché il controllo di preziose fonti energetiche (in primis il petrolio) e materie prime.

Alla truppa, massa amorfa e lamentosa sepolta in strette e sordide trinceeche di fronte ad una realtà di ingiustizie e di sopraffazione verifica l’insufficienza di ogni sentimento di solidarietà (si pensi alle persecuzioni poste in atto dal vigliacco tenente Roger nei confronti del caporale Paris testimone di una sua grave negligenza), della consolazione religiosa (si veda la scena in cui il compianto di un cappellano scatena la violenta reazione del condannato Arnaud), degli ideali progressisti incarnati dal colonnello Dax (interpretato dal liberal Kirk Douglas), il quale tenta fino all’ultimo di salvare le tre vittime (Thompson ricordò sempre l’importanza nella sua formazione di opere come l’Edipo Re e Il Capitale, con Sofocle, ma più in generale la tragedia greca, a riequilibrare le utopistiche conclusioni marxianenella Rivoluzione, nel proletariato, nella Storia), non resta dunque che affidarsi al Caso; tanto che in questa prospettiva pare legittimo paragonare lo scrittore dell’Oklahoma ad autori come Fëdor Dostoevskij e Louis-Ferdinand Céline.

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Nella medesima situazione si trovano in fondo anche l’esperto rapinatore di banche Doc McCoy e sua moglie Carol protagonisti di In Fuga (pubblicato nel 1959) e gli imbroglioni Roy Dillon, Lilly Dillon (madre-amante di quest’ultimo) e Moira al centro del romanzo I truffatori (1963).

Solo che nelle rispettive trasposizioni filmiche di Sam Peckinpah (Getaway!, 1972, inutile il remake di Roger Donaldson del 1994) e di Stephen Frears (Rischiose abitudini, The Grifters, del 1990), le vicende di questi esseriaffetti da analfabetismo esistenziale, atomizzati, reificati a causa di una società che propone una brutale massificazione o il cannibalismo come uniche possibilità di sopravvivenza (il rifugio per criminali governato da El Rey in cui si ritrovano i McCoy dopo aver compiuto una sanguinosa rapina insieme al degenerato complice RudyTorrento e la Los Angeles claustrofobica e violenta in cui opera il terzetto di falsari incarnano in modo più o meno metaforico l’America liberal liberista), vengono depurate dei loro passaggi più potenti e crudeli: se Doc (Steve McQueen) e Carol (Ali MacGraw), ancora guidati da un residuo romanticismo rispetto ai personaggi letterari, alla fine conquistano il loro posto al sole anziché percorrere la macabra discesa nell’inferno di El Rey, Frears fa si che la morte di Roy (John Cusack) dipenda da un crudele scherzo del destino (il bicchiere rotto), anziché dalla lucida seduzione della madre (Anjelica Huston).

In tal senso, se analizziamo i pluridecennali e altalenanti dialoghi interdisciplinari inerenti la produzione thompsoniana (l’ultimo esperimento cinematografico è il recente The Killer Inside Me in cui il regista Michael Winterbottom mette da parte ogni presupposto ideologico, come d’altro canto aveva fatto Burt Kennedy nel primo film dedicato al vicesceriffo texano uscito nel 1976, e si concentra sulla dimensione pulp del romanzo), scopriremo che forse è stato Bertrand Tavernier nel suo Colpo di spugna (Coup de torchon, 1981), a materializzare nel modo migliore le inquietanti intuizioni, le drammatiche riflessioni dello scrittore di Anadarko, il quale, anche a causa dell’abuso di alcol, della malattia che l’aveva reso incapace di scrivere e dell’insuccesso (fu il francese Marcel Duhamel, fondatore e direttore della Série noir di Gallimard a diffondere a livello internazionale i testi del nostro,mentre l’America, da sempre restia a confrontarsi con gli incubi da lei stessa prodotti, inizialmente lo confinò nell’universo dei tascabili e poi lo lasciò sprofondare nell’oblio del fuori catalogo), si era spento il 7 aprile del 1977.

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Il cineasta d’oltralpe, insieme a Jean Aurenche, ha, infatti, preso Nick Corey, lo sceriffo delle 1280 anime della Contea di Potts, la più piccola del Texas, elo ha trasformato in Lucien Cordier (Philippe Noiret), un apatico, disilluso e inetto tutore della legge che tra le sparute casupole, i poveri bordelli, i cimiteri rosi dalle termiti e soprattutto l’umanità sconcia di uno sperduto villaggio dell’Africa coloniale francese (1938), quindi di un periodo prodromicodell’attuale globalizzazione capitalista che satura il pianeta di dollari, merci e bisogni immaginari e rende al contempo superflue crescenti masse di individui, converte rabbia e frustrazioni represse in una violenza anarchica e senza limiti che, tra gli altri, conduce alla morte la moglie Huguette e il di lei fratello, nonché amante, Nono: lo spaventoso, folle guitto che Thompson aveva modellato sul sopraccitato Lou Fordindossa qui la terrificante maschera dell’angelo vendicatore, veste gli abiti del salvatore sceso dalla croce per lavare nel sangue i peccati di un mondo ormai privo di senso in cui non esistono più vittime ma solo colpevoli, e per giunta sub-umani e contenti di esserlo.