Obiettivo Cinema

Dialogo con i cinque volte a Cannes, due Palme d’oro (con Rosetta, nel 1999 e L’enfant, nel 2005), Jean-Pierre e Luc Dardenne.

Sinonimo di eccellenza nel cinema contemporaneo, i fratelli Dardenne non deludono con il loro ultimo film. Dopo il Gran Premio Speciale della Giuria a Cannes, Il ragazzo con lc bicicletta pedala verso l’Italia. Incontriamo i registi del film, Jean-Pierre e Luc Dardenne, giunti a Pescara per ricevere il Pegaso d’oro per la regia della loro ultima pellicola al Flaiano Film Festival.

Nei vostri film, la scelta degli attori cade spesso su volti poco conosciuti, alcuni dei quali, come Jérémie Renier e Olivier Gourmet, sono diventati noti poiché associati esclusivamente al vostro cinema. Ne Il ragazzo con la bicicletta, come avete trovato Cyril?

«È vero, nella realizzazione di un film, gli attori hanno un ruolo fondamentale, devono saper interpretare perfettamente la storia che decidiamo di raccontare. Ci occupiamo personalmente di sceglierli. Cyril, interpretato dal giovane Thomas Doret, l’abbiamo trovato facendo i casting – non abbiamo una società che se ne occupa. Era il quinto ragazzo che si presentava ai provini del primo giorno. Gli abbiamo fatto provare una scena che fa parte dell’inizio del film, quella in cui il ragazzino telefona al padre, che non gli risponde. Ebbene, lui riusciva a far esistere realmente l’uomo. Era talmente concentrato, che abbiamo pensato: è straordinario! Dopo di lui ne abbiamo visionati altri centoquaranta, ma Thomas era il migliore».

Samantha, al contrario, è interpretata da un volto noto al grande pubblico, una splendida Cécile de France, protagonista anche dell’ultimo film di Clint Eastwood, Hereafter.  

«Conoscevamo Cécile e la ritenevamo adatta al ruolo per la sua espressività e fisicità luminosa. Inoltre è belga, e questo aiutava nella scrittura del personaggio. Dopo aver scelto il ruolo di Samantha, Cécile ha avuto la parte nel film di Eastwood. Samantha e Cyril s’incontrano per la prima volta senza una reale motivazione. Quando scriviamo la sceneggiatura dei nostri film, non vogliamo entrare troppo nelle vite dei personaggi. Non indaghiamo sul perché Cyril sia stato abbandonato dal padre, dove sia la madre o sul motivo per cui Samantha scelga di prenderlo in custodia. Tutto avviene nel presente e nell’incontro tra i personaggi, come lo scontro-incontro tra Samantha e Cyril. Non c’è una spiegazione psicologica di ciò che raccontiamo, nessuno ha scelto per loro, se non la realtà dei fatti».

 Rispetto ai vostri precedenti lavori, Il ragazzo con la bicicletta sembra un film più poetico, dal quale trarre messaggi di speranza. Dove sono finiti il realismo e la drammaticità di Rosetta, Il figlio o di L’enfant?

«Si può dire che questo è un film meno drammatico rispetto ai precedenti, pur mantenendo sempre una struttura realistica. Oggigiorno la disperazione è diventata un conformismo, anche nel cinema. Scrivendo la sceneggiatura, abbiamo pensato più volte a quale finale scegliere: tragico, aperto o positivo. Ne abbiamo discusso a lungo, ma alla fine non siamo riusciti a far morire il nostro Cyril. La sua vita, come la società in cui vive, è già molto dura e piena di drammaticità. Dopo aver raccontato l’abbandono, le numerose difficoltà incontrate durante l’adolescenza e l’incontro con Samantha, abbiamo deciso di “salvarlo”, non in maniera angelica ma concreta, come la realtà ci insegna».

Oltre alla sceneggiatura, ne Il Ragazzo con la bicicletta anche la luce è diversa. Come diceva Fellini, grande amico di Flaiano, il film si scrive con la luce?

«È vero: per la prima volta abbiamo scelto di girare in estate, periodo in cui la luce in Belgio è meno cupa, più tenue. Una scelta presa insieme al nostro direttore della fotografia, Alain Marcoen. Volevamo creare un’atmosfera diversa, meno drammatica del solito, ma pur sempre realistica. Il clima che si respira è differente rispetto al passato. In Rosetta o in L’Enfant, la drammaticità dei fatti è sottolineata dal clima rigido, la luce opprimente, gli ambienti descritti, la mancanza di musica. Non a caso, questa è la prima volta che utilizziamo la musica in un nostro film. In Il silenzio di Lorna, si sente solo nelle scene finali. In Il ragazzo con la bicicletta l’abbiamo concepita in rapporto con l’intero film. La musica rappresenta per noi la tenerezza, la dolcezza, che Cyril cerca, ma non trova finché non conosce Samantha. La situazione descritta è diversa da quelle del passato: più calda e rassicurante. È bello che Cyril trovi una famiglia, non per la valenza sociale del fatto, ma semplicemente perché lo volevamo».

La cinematografia italiana vi ha influenzati? Ne Il ragazzo con la bicicletta, Cyril ci ricorda un Pinocchio contemporaneo, e la bicicletta rimanda ai ladri di De Sica.

«Il cinema italiano è sempre stato fonte d’ispirazione: siamo cresciuti guardando i film dei grandi maestri, come Fellini, Rossellini e Pasolini. Il Belgio ha una vasta comunità italiana formatasi a causa all’ondata migratoria del Dopoguerra e un po’ d’Italia è sempre presente nei nostri film. Per esempio, il cognome della protagonista è Pucci, tipicamente italiano. Inoltre, Cyril ricorda davvero Pinocchio. Come lui, va nella foresta, incontra i cattivi, e poi c’è Samantha – una specie di “fata turchina”. In Ladri di biciclette, non vi è uno, bensì due furti: al padre viene rubata la bicicletta e lui ne sottrae un’altra, a sua volta. Mentre nella nostra pellicola è la stessa bicicletta che viene rubata due volte».

La crisi che stiamo vivendo colpisce intensamente il settore dell’arte e il sistema di produzione cinematografica. Come reagire di fronte a questo periodo? Esiste in Belgio una politica culturale che supporta il cinema?

«Il Belgio è una nazione molto piccola e ben gestita da una politica culturale concreta e di lunga data. Da oltre trent’anni, diverse sale teatrali, cinematografiche e spazi per la cultura sono gestiti grazie a fondi pubblici. Inoltre, esiste una volontà forte di voler diffondere e far conoscere la creatività belga in Europa e nel resto del mondo, in modo da creare un marchio distintivo per la nazione, sinonimo di buona qualità ed eccellenza culturale. Le produzioni associate tra diversi Paesi possono essere una strada per diminuire i costi di realizzazione di un film, ma in Belgio tali collaborazioni avvengono di rado, viste le sue piccole dimensioni. Forti invece sono le influenze linguistiche e culturali con i paesi limitrofi, la Francia per la parte francofona e l’Olanda per quella fiamminga».

Tensione verso il tempo presente, immediatezza della descrizione, messa al bando degli eccessi stilistici: questi alcuni degli elementi cardine del vostro cinema, diventato emblema del cinema contemporaneo europeo. Esiste una divisione di compiti tra voi?

«No: quando lavoriamo, lo facciamo insieme. Ognuno apporta le proprie idee e col tempo abbiamo imparato a compenetrarle senza creare conflitti. Troviamo più difficile lavorare da soli. La somma dei nostri apporti, porta al compimento del lavoro. E poi, è troppo tardi per fare dei film da soli». 

Un consiglio per chi ha voglia di lavorare col cinema?

«Guardare dei buoni film è la prima regola. Siamo cresciuti guardando film e abbiamo appreso molto dai grandi maestri. Se si vuole raccontare una storia, occorre saper osservare la realtà che ci circonda, nella quale siamo immersi e che conosciamo meglio di altri. Non serve andare lontano se si ha qualcosa da raccontare. È necessario essere buoni osservatori del nostro presente. Quando abbiamo iniziato a fare cinema, tutto era più difficile rispetto a oggi, comprese le attrezzature da utilizzare. Attualmente la tecnologia ci viene incontro: esistono macchine da ripresa più agevoli e accessibili rispetto a quelle di una volta. È molto importante, inoltre, che si stabilisca un’intensa collaborazione tra le persone con le quali si lavora. Mettere insieme le capacità di tutti è utile per il cinema, come per le altre arti».

 

Il ragazzo con la bicicletta

Titolo originale: Le gamin au vélo

Regia: Jean – Pierre e Luc Dardenne

Sceneggiatura: Jean-Pierre e Luc Dardenne

Attori principali: Cécile de France, Thomas Doret, Jérémie Renier, Fabrizio Rongione, Egon Di Mateo e Olivier Gourmet

Genere: Drammatico

Durata: 87’

Fotografia: Alain Marcoen

Montaggio: Marie-Hélène Dozo

Prodotto da: Les Films du Fleuve e Archipel 35

Distribuzione: Lucky Red

Jean-Pierre e Luc Dardenne