In un unico slot vengono presentati alla Festa del Cinema di Roma Enrico Cattaneo / Rumore Bianco e Nino Migliori. Viaggio intorno alla mia stanza, documentari entrambi incentrati su fotografi.

Enrico Cattaneo, nato nel 1933 e morto nel 2019, è stato un importante fotografo e artista visivo italiano, noto soprattutto per la sua esplorazione del mondo artistico italiano a cavallo tra avanguardie e Sessantotto. Nino Migliori, classe 1926 e ancora in vita, è un ancora più prolifico e variegato sperimentatore del linguaggio fotografico, noto a livello internazionale anche se non si è mai allontanato troppo a lungo dalla sua nativa Bologna.

Nella sezione Freestyle della Festa del Cinema di Roma, questi due grandi fotografi del Novecento italiano dialogano idealmente attraverso due mediometraggi – documentari, inseriti nello stesso slot di proiezioni: Rumore Bianco / Enrico Cattaneo, diretto dal duo Francesco Clerici/Ruggero Gabbai, e Nino Migliori. Viaggio intorno alla mia stanza, dell’eclettica editrice Elisabetta Sgarbi.
A differenza di altri titoli analoghi (come il Deserto rosa della stessa Sgarbi dedicato a Luigi Ghirri), entrambi i documentari si affidano alla viva voce dei rispettivi protagonisti per tracciarne il ritratto e il percorso, ma in Rumore Bianco la presenza di Cattaneo ha un che di ipnotico, di elegiaco, di testamentario – il che riporta alla mente, non pretestuosamente, le riflessioni di Jacques Derrida sul cinema come arte della spettralità, o come evocazione di spettri tout court. Per i primi venti minuti del documentario assistiamo l’anziano Enrico Cattaneo nel passaggio da una delle sue ultime mostre all’ambiente domestico, in cui accompagna la troupe del documentario per un vero e proprio tour. Lo vediamo all’opera su esperimenti di acidazione, sperimentazioni puramente artistiche e formali con cui Cattaneo sembra trascendere i confini della fotografia, col suo linguaggio perennemente ancorato alla realtà. A casa, i documentaristi gli strappano anche qualche occasionale dichiarazione di poetica – «l’amore per l’oggetto è una componente essenziale per il mio lavoro», da cui il suo amore per le discariche – alternate con notazioni ben più quotidiane – «cazzo, ma non c’era una sedia più comoda?».

Non manca neanche, nella seconda parte del breve documentario, un’intervista classica con Cattaneo seduto che ripercorre la sua carriera, e le sue parole si intrecciano a fotografie scattate nell’arco dei decenni. Rivendica di essere stato dilettante in un’epoca in cui, nell’immediato dopoguerra italiano, la fotografia significava fare solo un bel paesaggio. Si entra poi rapidamente nei circoli della fotografia artistica e d’arte nei primissimi anni sessanta, dove si respira una particolare vicinanza alla poetica della Nouvelle Vague per cui «vedi una cosa e d’istinto ti interessa». Ripensando retrospettivamente a quegli anni, Cattaneo è sconsolato nei confronti del riflusso politico ed è anche scocciato dalle innumerevoli richieste di fotografie del periodo sessantottino in occasione del “cinquantennale”, come se il Sessantotto fosse durato solo un anno (proprio al 2018, risalgono tra l’altro gran parte delle riprese del documentario). Il fotografo rifiuta l’etichetta di «grigio Cattaneo» usata per descrivere i toni delle sue foto e, ancora una volta, rivendica la preminenza dell’istinto in fatto di creatività e creazione.

Nel complesso, Rumore Bianco traccia un ritratto dimesso, ma sicuro, in cui Cattaneo, ripreso un anno prima della morte, con un atteggiamento statuario e in fondo autoironico e dimissionario, lascia in eredità un suo autoritratto personale, dopo gli innumerevoli scatti che, negli anni, avevano immortalato personalità del calibro di Man Ray, Giorgio De Chirico, Mimmo Paladino, persino Andy Warhol. Divertenti anche i brevi passaggi metacinematografici in cui il fotografo si confronta con la troupe, come quando l’operatore gli disse che stavano per girare la take 26 – e a questo punto Cattaneo tira fuori una battuta che da sola sembra racchiudere tutta l’essenza dell’uomo: «sai perché il 26 è il mio numero preferito? Perché è l’unico numero compreso tra due potenze, 5 alla seconda e 3 alla terza».

«Avevo una ventina d’anni quando ho iniziato ad essere interessato a vedere gli altri che fotografavano. Io non avevo macchina, non fotografavo»: così esordisce invece Nino Migliori nell’incipit di Viaggio intorno alla mia stanza e con queste parole inizia una grandiosa cavalcata lungo tutto il Novecento. Vinta la sua prima macchina fotografica grazie a un concorso in tema, Migliori non tarda a entrare nei circoli artistici e intellettuali “giusti”: tuttora non nasconde la sua gratitudine per il pittore Emilio Vedova con cui condivise un fecondo periodo di soggiorno a Venezia. A consacrarlo definitivamente fu, proprio nel periodo veneziano, una serie di scatti ritrattistici che risultarono particolarmente graditi alla leggendaria collezionista d’arte Peggy Guggenheim, con cui condivise l’emozione dell’arrivo dall’America del primo quadro di Pollock acquisito dalla mecenate. Da quel momento in avanti, gli oltre sette decenni di carriera di Migliori sono completamente assorbito da sperimentazioni di ogni genere, tra caleidoscopi, ritagli, sovrapposizioni, studi alla Monet di come giorno per giorno mutasse il paesaggio davanti alla sua finestra, una grande passione per l’informale, anche in questo caso tesa, non meno che nel caso di Cattaneo, a travalicare i confini della fotografia propriamente detta. Particolare bellezza e interesse, anche storico, riveste il segmento in cui Nino Migliori rievoca le fotografie di impianto neorealista-sociale scattate soprattutto negli anni cinquanta nella zona del Delta del Po, ma anche nella periferia di Bologna. Il nucleo totale del discorso di Migliori, «la fotografia per me è tutto», potrà anche essere banale in sé e per sé, ma è sempre affascinante sentirlo dire da un maestro di quest’arte. La fotografia è anche un linguaggio ed è anche uno strumento di comunicazione pratica, un frutto dell’Ottocento che il Novecento ha saputo mettere in tiro e che continua a mantenere qualcosa di misterioso e ambiguo nel suo statuito tra le arti, non meno del cinema.

Sia Enrico Cattaneo / Rumore Bianco che Nino Migliori. Viaggio intorno alla mia stanza sono due documentari in cui il mezzo filmico è messo sostanzialmente a servizio dei due maestri che parlano e in generale della creazione di due importanti document(ar)i sulla storia della fotografia italiana del Novecento. Dall’incontro-sovrapposizione tra il cinema come linguaggio e la fotografia come argomento non nasce nessuna soluzione strutturale destinata a fare antologia per futuri documentari su fotografi, ma soprattutto Viaggio intorno alla mia stanza di Sgarbi riesce a sfruttare efficacemente le specificità filmica, per movimentare al meglio, anche per mezzo di proiezioni, il racconto di Migliori fisicamente confinato nella sua abitazione. La durata, trenta minuti il doc su Cattaneo e quaranta l’altro, in un minutaggio assolutamente né televisivo né cinematografico, contribuisce non solo alla scorrevolezza dei due prodotti, ma anche al loro tono sperimentale, piacevolmente festivaliero, non asservito alle inevitabili semplificazioni che uno specifico indirizzo distributivo quasi sempre impone.

Titolo: Enrico Cattaneo / Rumore bianco
Regia: Francesco Clerici, Ruggero Gabbai
Produzione: Forma International in collaborazione con Astrolab Media, Archivio Enrico Cattaneo
Distribuzione: TBA
Durata: 31′
Genere: documentario, biografico
Uscita: TBA

Titolo: Nino Migliori. Viaggio intorno alla mia stanza
Regia: Elisabetta Sgarbi
Sceneggiatura: Elisabetta Sgarbi
Distribuzione: TBA
Genere: documentario, biografico
Uscita: TBA