Doppia recensione per Cake, l’ultimo film con protagonista Jennifer Aniston.

Cicatrici e dolore per Jennifer Aniston
di Emanuela Mugliarisi

Dal 6 maggio nelle sale italiane Cake di Daniel Barnz con una Jennifer Aniston di eccellente intensità: l’abbrutimento richiesto dal copione riesce a far emergere nell’interprete tutto il dolore e la stremante condizione in cui versa la vita di questa donna, della quale scopriamo la storia a piccoli passi.

“Andrea aveva, aveva un dolore, riccioli neri”. Così recitava un verso della canzone di De André: non c’è espressione migliore per esprimere lo stato d’animo che emerge costantemente dal volto, dalle movenze della protagonista di questo film, Claire, interpretata da una Jennifer Aniston che, come Charlize Theron in Monster decide di rinunciare alla sua statuaria bellezza, abbandonando finalmente i triti e ritriti modi scanzonati e superficiali delle commedie che fin’ora ha interpretato e facendoci conoscere le vere qualità attoriali che le appartengono.

Claire è una donna piena di cicatrici, in preda a continue smorfie di dolore perché soffre continuamente: fino alla fine non scopriamo esattamente cosa le sia successo, ma sappiamo che ha avuto un incidente che le è costato la morte di un riccioli neri che non è il marito. E’ costantemente sdraiata, in macchina viaggia sempre con il sedile del passeggero completamente ribaltato e anche il più piccolo gesto le provoca sussulti angoscianti. Le inquadrature quasi epidermiche che Daniel Barnz fa delle sue cicatrici ci permettono di entrare in totale empatia con il personaggio,facendoci sentire addosso il dolore di Claire, facendoci addentrare all’interno di quegli occhi grandi e blu pieni di dolore, dentro quei muscoli martoriati che appartenevano a una donna bellissima e nel fiore della sua maturità. Proprio per questo suo costante soffrire, che la rende scontrosa, cinica fino alla crudeltà, Claire viene allontanata da tutti, anche dal gruppo di sostegno nel quale avrebbe dovuto cercare conforto psicologico. Ma proprio qui dentro avviene un evento che funge da dispositivo scatenante per una svolta nella sua vita, una presa di posizione “quasi vitalistica”: una delle compagne del gruppo (Nina, il cui spirito viene interpretato da una Anna Kendrick senza infamia e senza gloria) si suicida e in Claire s’insinua il tarlo di voler conoscere la vita di questa donna che, bellissima e giovane, non aveva motivo di abbandonare un figlio splendido e un marito adorabile (Roy, indossato dal bravissimo Sam Wortghinton). E così, dai frequenti incontri di queste due solitudini i due riescono a placare la loro rabbia generata dalla loro solitudine, dalla sofferenza dell’abbandono, dall’incomprensione degli altri per il loro disagio.

Tutto il film ha una forza che deriva da due forze che sono in contrasto e si penetrano a vicenda. Da una parte la costante sensazione di sospensione, di ovattamento, come quando si hanno le orecchie tappate e si sentono solo ronzii fastidiosi: vuoi per le inquadrature strette e soffocanti nei momenti di sofferenza di Claire, vuoi perché la protagonista cerca di stordire il suo dolore buttando giù farmaci potentissimi manco fossero caramelle, vuoi perché l’acqua è un elemento che più volte torna e nel quale Claire trova brevi momenti di pace – visto che sospesa a fare “il morto” sente meno dolore. Dall’altra parte invece, momenti di genuino divertimento, di ironia pungente, di reale sentimentalismo mai melenso o retorico. Questo grazie al personaggio di Silvana (la candidata agli Academy Awards Adriana Barraza) la colf sudamericana tuttofare, unico personaggio che rimane vicino a Claire per tutto il tempo ma soprattutto grazie all’ottimo materiale di partenza: la bellezza dello script di Patrik Tobin che capisce quanto sia più interessante sviluppare tra Claire e Roy un rapporto di sincera e onesta amicizia piuttosto che trovare facili e scontate soluzioni nel romanticismo e sesso pietistico.

Una torta indigesta
di Carlo Rotondo

Claire, una giovane donna di Los Angeles, sfigurata nel volto e nell’anima a seguito di un incidente nel quale è stato ucciso il suo bambino, si trascina stancamente in ciò che resta della sua vita, devastata dal dramma. Il consumo smodato di barbiturici le provoca allucinazioni e un desiderio represso di suicidarsi. È arrabbiata col mondo e il mondo la evita, tranne Silvana, la sua governante ispanica, la brava e convincente Adriana Barraza, che la protegge e la incoraggia a risollevarsi.

Le conseguenze dell’incidente oltre ad averle lasciato segni indelebili sul viso, sembrano causarle dolori lancinanti alla schiena, al cui lenimento nulla valgono le terapie riabilitative in piscina. Quando viaggia in auto è costretta a restare supina, stesa sul sedile reclinato. Una posizione, simbolo evidente della sua resa incondizionata e della difficoltà di elaborare il lutto per la perdita del figlio. La sceneggiatura è snella, più che mostrare didascalicamente, lascia che lo spettatore intuisca alcuni dei passaggi narrativi, funzionali alla comprensione dell’intreccio.

Jennifer Aniston è precisa, attenta alle sfumature di un ruolo di difficile equilibrio interpretativo. Con misura e sensibilità mostra una donna distrutta dalle avversità e il cambiamento che in essa avviene con l’approdo a un inevitabile cinismo e disincanto. È il testo a rivelare la sua debolezza, sviluppando un percorso dai contorni scontati e prevedibili. Non si pretendono effetti a sorpresa in una pellicola molto intimista, ma nel racconto di una storia, altrimenti banale, occorre prendere posizione e offrire al pubblico il proprio punto di vista o almeno una prospettiva inusuale che possa stimolare la riflessione, porre delle domande. Completano il quadro di un film non riuscito, le scelte registiche, complice la fotografia, con delle inquadrature statiche e squadrate e un montaggio asfittico che non conferisce ritmo e tensione alla pellicola, che si srotola in maniera inutile, lenta e a tratti noiosa.

Titolo originale: Cake
Regia: Daniel Barnz
Sceneggiatura: Patrik Tobin
Cast: Jennifer Aniston, Adriana Barraza, Sam Wortghinton, Anna Kendrick, Chris Messina, Mamie Gummer
Fotografia: Rachel Morrison
Montaggio: Kristina Boden, Michelle Harrison
Musica: Christophe Beck
Casa di produzione: Cinelou Films, We’re Not Brothers Production
Distribuzione: Warner Bros
Durata: 92′
Data d’uscita nelle sale italiane: 7 maggio 2015