Quando accennavo la mia disapprovazione a Settimo-Cielo non sapevo di certo che in circolazione ci fosse gia’ il suo presunto antidoto: Big Love, una serie televisiva che sostituisce al dispotico reverendo Camden un dispotico industriale mormone e poligamo.

La serie e’ controversa: prodotta da Tom Hanks e’ stata elogiata e sommersa di riconoscimenti. Esibisce un cast da cinema, una regia superba ed elegante, e si fregia della piu’ bella sigla insieme a “Who Are You” di C.S.I. : “God Only Knows” dei Beach Boys.
Eppure in Italia nessuna rete televisiva accetta ancora di mandarla in chiaro, neanche a tarda ora.
Ma come, nell’era post Casalinghe, post NIp/Tuck (a mio parere ancora insuperata in termini di trasgressione e potenza), post Sex and the city, post The L. World, insomma, nell’era post tutto c’e ancora qualcosa che atterrisce, la cui messa in onda va relegata ai soli canali satellitari?
Mmmh…
Andiamo con ordine.

La vicenda narra le gesta di Bill Henrickson (Bill Paxton, fastidiosamente in parte), mormone doc, fervente sostenitore della causa della poligamia, e’ lui che tira le file di questo monumentale nucleo famigliare. L’uomo e’ sposato in prime nozze a Barb (Jeanne Tripplehorn: Basic Instinct, Sliding Doors), signora non troppo convinta delle scelte del marito, in ultima istanza sempre  obbediente e remissiva, in seconde a Nicki (il tocco di genio: la morbosa Chloe Sevigny), la vera boccata d’aria fetida e malsana, l’autentico sguardo trucido che rende quest’attrice un feticcio e un’icona, e in terze alla svampitella Margene (Ginnifer Goodwin). Da non dimenticare la nota di colore: quelle che in seguito sono diventate Signore Henrickson numero 2 e 3 erano state inizialmente reclutate come collaboratrici domestiche. Lo scatto di carriera e’ avvenuto con poco.

Ognuna di queste donne ha partorito un paio di pargoli, e la vicenda si complica se si pensa che la poligamia e’ a tutti gli effetti un reato, e la comunita’ non deve sapere “come funzionano le cose” in casa Henrickson.

Ecco che il nucleo diviene metafora di una minoranza perseguitata, costretta a nascondersi e soggetta ad atti intimidatori da parte della collettivita’ infastidita dalle usanze di questo gruppo di persone in realta’ assolutamente consenzienti e devote fra loro.

Se da un lato assistiamo ai parossismi di casa Henrickson (rimpiangendo il buon reverendo Camden), in cui le mogli sono ridotte a serve contente, a scienziate dell’economia domestica, in un inquietante quadro in cui tutti si spendono per la serenita’ di tutti, mossi piu’ da un certosino rigore militare, che da pulsanti slanci affettivi, e in cui “tutti” festeggiano gli anniversari di “tutti”, e le mogli si considerano sposate fra di loro, prima che con Bill, dall’altro scopriamo quanto queste persone (in cui comunuque non ci riconosciamo e che  a tratti ci fanno persino orrore), vengono mortificate e osservate di sottecchi da una societa’ sempre e perennemente pronta a ghettizzare il diverso, a indicizzare il portatore sano di cultura o credo religioso differente.

L’aspetto rivoluzionario di Big Love sta nel suo volersi affrancare dallo sposare una causa o una tesi in particolare, e tutti sembrano allo stesso modo avere torto e ragione, neutralizzando l’opinione emotiva, costringendo alla riflessione piu’ pura e all’interrogazione piu’ sublime: E’ possibile evadere le consuetudini se non faccio del male a nessuno? E’ la societa’ o il codice civile a dirmi come devo educare i miei figli? La tipologia di costituzione del nucleo famigliare deve avere contorni laici, o puo’ costruirsi sulla base di personali paradigmi religiosi?

Se va bene crescere dei figli con tre mogli, perche’ non con due padri, o due sole madri.

Insomma, gli universi di dibattito che si aprono a fronte della visione di questo incredibile show sono numerosi, e vengono portati sullo schermo in una maniera del tutto nuova: il diverso, la minoranza (forse) lo scorretto e’ protagonista del racconto, ma il racconto stesso non ingloba solo la sua prospettiva, anzi. La capovolge continuamente, la discute e la ribalta, soprattutto grazie alle molteplici opinioni e stati d’animo dei figli di Henrickson, in particolare Sarah, la primogenita, che frequenta addirittura un gruppo di recupero per… ex mormoni!

Insomma, in attesa che Big Love approdi sugli schermi in chiaro, suscitando l’interesse che merita ci limitiamo a constatare che il mondo delle fiction e delle serie TV e’ un universo che va via via raffinandosi e complessizzandosi fino a realizzarsi in simil extended movie che fanno gola anche ai cinefili piu’ puristi, e che la crescente qualita’ di questi prodotti pare essere inversamente proporzionale allo stato di salute del cinema (hollywoodiano in primis), e non e’ un caso che vecchi lupi di mare della pellicola si diano  cosi’ da fare in questi progetti, molto piu’ arditi e molto meno commerciali di tanta paccottiglia – blockbuster in circolazione nelle sale.

Sono i serial l’ultima frontiera dell’arte della rappresentazione visiva?