Ha senso questo remake?

L’ardua impresa di Bekmambetov si rivela irrealizzabile, perché raggiungere le epiche vette e la magnificenza del film di William Wyler è un affare impossibile. Difatti Ben-Hur, pur con un riadattamento della vicenda, mette in mostra tutta la sua inderogabile mancanza di coraggio nell’affrontare tale scoglio. Il budget (superiore ai 100 milioni) era dalla parte del regista russo, ma è evidente che non sia stato utilizzato in modo oculato.

Nella provincia della Giudea, il principe Giuda Ben-Hur tenta di mantenere l’autonomia da Roma e cerca di tenersi lontano dagli Zeloti. Un giorno il fratello adottivo Messala (romano di nascita e giudeo d’adozione) torna a Gerusalemme a salutare la famiglia Ben-Hur e chiede al principe un aiuto nell’evitare un possibile attentato a Ponzio Pilato. Per una sfortunata coincidenza Giuda viene accusato di cospirazione e incatenato su una galea senza che Messala faccia qualcosa per aiutarlo.

Remake che si va a confrontare con un “mostro sacro” del cinema storico statunitense, Ben-Hur di Bekmambetov è tanto fumo e niente arrosto. La causa di ciò risiede in uno svolgimento narrativo che si dimostra piatto e privo di qualsiasi guizzo di rilevante importanza. Difatti si ha la netta sensazione che, chi si è seduto dietro la scrivania per riadattare con eccessiva libertà il romanzo omonimo (o addirittura il film del 1959), abbia tentato di raccontare la vicenda con un eccesso di leggerezza, operazione che ha permesso di scardinare, con troppa tranquillità, qualsiasi elemento legato a una sorta di epicità. Ciò che manca in Ben-Hur versione 2016 è l’emozione e l’empatia, due strumenti utili ad accattivare lo spettatore e trascinarlo senza remore all’interno della storia; invece il prodotto di Bekbambetov si limita a narrare con supponente superficialità. È anche vero che lo spettatore ha già fatto la conoscenza del protagonista, della sua volontà d’animo e del suo coraggioso nerbo; peccato che, seppur le caratteristiche di Giuda Ben-Hur siano ben delineate, non si respiri nè un’aria epica né lo sfarzo hollywoodiano. E questa ultima affermazione non è casuale perché in molti si ricordano di alcune sequenze significative (la corsa con le bighe su tutte), ma non tutti si soffermano sullo sfarzo della Hollywood della fine degli anni Cinquanta. E Ben-Hur era decisamente il prodotto maggiormente calzante per affermare al mondo intero che gli studios americani potevano permettersi teatri di posa e scenografie di una bellezza strabiliante (pagati a peso d’oro a Cinecittà), che accompagnavano con dedizione l’epica della vicenda.

Contraddistinto da qualche scelta di riadattamento decisamente poco apprezzabile (mostrare Gesù Cristo in viso e non utilizzarlo come espediente temporale e prediligere un finale sottotono e consolatorio), Ben-Hur non stupisce nemmeno con gli effetti visivi e tira dritto in direzione della conclusione. Insomma un remake privo di spina dorsale, che getta in pasto al pubblico delle interpretazioni al di sotto delle aspettative e una vicenda in cui l’epica si perde per strada e non vi fa più ritorno. Di conseguenza ci si ritrova a elogiare e invocare il pamphlet romano del 1959, la maestria di Wylder e  a “maledire” l’ambizione del russo Bekmambetov, colui che ha sempre sperimentato ad eccezione di quest’ultima volta, in cui poteva ribaltare l’originale e costruircisi qualcosa d’innovativo e catalizzante. Perlomeno un pizzico d’intrattenimento si nota, ma non è sufficiente per sperare di risollevare la valutazione dell’intera pellicola.

Titolo originale: Ben-Hur
Regia: Timur Bekmambetov
Sceneggiatura: Keith R. Clarke, John Ridley
Attori principali: Jack Huston, Toby Kebbell, Morgan Freeman, Rodrigo Santoro, Nazanin Boniadi, Ayelet Zurer, Pilou Asbaek
Fotografia: Oliver Wood
Montaggio: Dody Dorn, Richard Francis-Bruce, Bob Murawski
Musiche: Marco Beltrami
Prodotto da LightWorkers Media, Metro Goldwyn-Mayer, Paramount Pictures, Sean Daniel Company
Distribuzione: Universal Pictures
Durata: 125′
Genere: Storico