Un film che è un romanzo

Il giornalista americano Mark Seal consegna con ‘A pistola lasciala, pigliami i cannoli un’appassionante narrazione della creazione de Il Padrino di Mario Puzo e Francis Ford Coppola.

Pochi film hanno avuto l’influenza mondiale e il duraturo successo di cui può vantare il primo Padrino di Francis Ford Coppola, uscito nel 1972 e immediatamente dichiarato come uno dei più alti risultati dell’arte cinematografica; così come, pochi anni prima, Il Padrino di Mario Puzo era stato un sorprendente exploit letterario, frutto della penna e dell’inaspettato genio di uno scrittore che per decenni aveva gravitato ai margini della letteratura di consumo e pulp americana. Come spesso capita soprattutto con i più grandi capolavori della settima arte, la realizzazione de Il Padrino fu letteralmente un bagno di sangue in termini artistici, produttivi, organizzativi: più passava il tempo, più sembrava che dal successo del film dipendesse il futuro stesso della major che lo stava producendo, la Paramount allora in declino, e il regista Francis Ford Coppola, allora trentenne, dall’inizio della pre-produzione fino alle ultime settimane prima dell’uscita in sala, fu impegnato in una lotta senza quartiere con gran parte dei dirigenti dello studios. Eppure, se è vero l’antico adagio per cui un brutto film è orfano, un grande film ha ventotto padri, proprio l’apporto dei dirigenti degli studios, che si ritrovarono ossessionati dal Padrino non meno del suo regista, si rivelò determinante nelle battute finali di lavorazione del film, quando lo stesso Coppola sembrava propenso ad accettare alcuni tagli radicali al film.
È sulla scrittura del romanzo de Il Padrino, nonché sulla travagliatissima realizzazione del primo film, che si concentra ‘A pistola lasciala, pigliami i cannoli. Il Padrino: storia, epica, leggenda, libro di Mark Seal recentemente tradotto ed edito in una versione italiana da Jimenez. Mark Seal è un importante giornalista americano, firma ricorrente di Vanity Fair, che negli anni ha sviluppato una vera e propria ossessione per Il Padrino, realizzando interviste ai principali responsabili della sua realizzazione, oltre a vere e proprie inchieste sui dibattiti creativi che ne accompagnarono tutta la lavorazione quasi come se Il Padrino fosse un cold case. Raccogliendone articoli e il materiale accumulato sul tema, Seal ha composto un libro che tutto è fuorché un saggio: è quasi un romanzo che narra in maniera accattivante e precisissima prima la scrittura di un futuro bestseller, uscito dalle mani di un autore sempre sull’orlo della bancarotta, poi la realizzazione di un futuro capolavoro, diretto da un giovane regista certo di essere licenziato dalla Paramount da un giorno all’altro.

‘A pistola lasciala, pigliami i cannoli, che prende il titolo da una folgorante battuta che un interprete secondario improvvisò sul set, presenta al lettore un’incredibile ridda di aneddoti su Il Padrino. Una delle sue linee tematiche più ricorrenti evidenzia il rapporto che tutto l’entourage del film dovette stringere con la mafia americana dopo che un movimento popolare aveva raccolto una vera e propria associazione di italoamericani, con Frank Sinatra nelle vesti di testimoni d’eccezione, preoccupati per la rappresentazione degli italiani sui media americani e pronti a tutto pur di bloccare le riprese de Il Padrino (curiosamente, il fondatore della league era a sua volta un mafioso). Dando involontariamente ragione all’assunto di Mario Puzo per cui Hollywood e la mafia non sono poi due universi così distanti tra loro, attraverso un incredibile gioco diplomatico la Paramount riuscì a ribaltare la questione, con la mafia di New York che supportava moralmente, logisticamente e a volte persino artisticamente la realizzazione del film di Coppola. Sinanche alcuni degli interpreti del film erano in odore di mafia, incluso l’attore che pronunciò l’iconica battuta che dà il titolo al libro di Seal, Richard Castellano, parente stretto di quel Paul Castellano che di lì a pochi anni sarebbe succeduto a Carlo Gambino come capo di una delle più importanti famiglie di New York.
Molti altri sono gli aneddoti e le piccole rivelazioni che il reportage narrativo di Seal ci dà modo di conoscere a proposito de Il Padrino: che nel ruolo poi andato a Marlon Brando si era inizialmente immaginato di coinvolgere Carlo Ponti, assieme a De Laurentiis il più potente produttore italiano, marito della Loren; che il più violento scontro produttivo ci fu tra Coppola e Robert Evans, un dirigente della Paramount costretto a girare per lo studio in sedia a rotelle a causa della sua disdicevole ossessione per la cocaina, ma che si lasciò ossessionare così tanto da Il Padrino da far crollare il suo matrimonio pur di lavorare ininterrottamente al film (e a Chinatown di Polanski); che il trio di giovani attori che poi furono benedetti dal successo del film, Al Pacino, James Caan e Robert Duvall, erano stati scelti da Coppola e rifiutati dallo studio, che tornò sui suoi passi solo dopo sei mesi e quasi mezzo milione speso solo nel casting, anche grazie a dei provini clandestini girati da Coppola a San Francisco; che lo stesso Robert De Niro vi avrebbe dovuto interpretare un ruolo minore, salvo poi tirarsi fuori per uno scheduling conflict e poi tornare a interpretare Don Corleone da giovane e vincere il suo primo Oscar (per Il Padrino – Parte II).

«Avevo sempre voluto usare la mafia come metafora per l’America». Con questa dichiarazione di Francis Ford Coppola si apre la sezione più interessante del libro di Seal, quella che affronta attentamente la questione più spinosa e interessante che riguarda Il Padrino, un film che non per nulla si apre col primo piano del becchino Amerigo Bonasera che, dopo che la figlia era stata quasi uccisa dal suo ex-ragazzo nell’indifferenza della polizia americana, dice a Don Corleone di credere nell’America ma di rivolgersi a lui per avere giustizia. «Sia la mafia che l’America hanno radici in Europa», approfondì una volta Coppola. «Sia la mafia sia l’America hanno le mani sporche di sangue per ciò che è necessario fare per proteggere il loro potere e i loro interessi. Sono entrambi fenomeni capitalistici e fondamentalmente hanno per scopo il profitto».

Come rilevò un commentatore al momento dell’uscita de Il Padrino nelle sale americane, il film di Coppola è una grandiosa – ed esatta – fantasia sul potere e lo spettatore si poteva immedesimare tanto in chi quel potere ce l’aveva, sia pure al di fuori o al di sopra della legge, come l’affascinante personaggio di Marlon Brando, sia con chi a quel potere chiedeva protezione, ricevendo risposte ben più sollecite di quelle delle istituzioni preposte. Uscito mentre ancora impazzava la Guerra del Vietnam, Il Padrino testimonia – non meno di un film indie e trasgressivo come Easy Rider – un crescente senso di sfiducia nei confronti delle istituzioni americane e il suo straordinario successo di pubblico confermò come Coppola, Puzo & co. avessero colto i tasti giusti su cui premere: in fondo, poco ci manca a poter definire lo stesso Padrino un film sessantottino.

‘A pistola lasciala, pigliami i cannoli. Il Padrino: storia, epica, leggenda
di Mark Seal
Jimenez (Roma)
pp. 406