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Festival Cinema: Pesaro Film Fest: Dario Argento e Berlino Protagonisti

Festival Cinema: Pesaro Film Fest: Dario Argento e Berlino Protagonisti

La Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro nasce nel 1965 grazie a Lino Micciché e Bruno Torri. Dal 2000, sale alla direzione Giovanni Spagnoletti. Quest’anno viene inaugurata la sezione Bande a’ part, per chi ha voglia di perdersi (chi meglio di questo sito allora!) e ritrovarsi nelle immagini di ieri e di oggi. Ospite d’onore del Festival, il nuovo Cinema Tedesco e l’evento speciale dedicato a Dario Argento.

Si è appreso oggi alla presentazione a Roma che la prossima, la 44°, edizione della Mostra Cinematografica della citta’ di Pesaro, che si svolgera’ dal 21 al 29 Giugno, vedra’ per la prima volta nella sua storia un film italiano in concorso. Inoltre saranno assoluti protagonisti l’horror nostrato, con uno speciale dedicato al maestro Dario Argento, e il cinema tedesco contemporaneo della nuova scuola berlinese.Il concorso, il cui premio e’ dedicato alla memoria di lino micciche’, fondatore e storico direttore del festival, presenta otto opere da tutto il mondo, con una particolare attenzione verso le cinematografie dell’estremo oriente (giappone, filippine, malaysia). L’ospite d’onore del festival e’ il cinema tedesco contemporaneo, con la nuova “scuola berlinese”, protagonista negli ultimi anni di una celebratissima rinascita: lungometraggi, medi e do*****entari, per scoprire una germania inedita. L’evento speciale, organizzato con fondazione centro sperimentale di cinematografia, e’ dedicato al talento visionario di dario argento, l’indiscusso maestro italiano del brivido: omaggiato con la retrospettiva completa dei film, la pubblicazione di due volumi monografici, e la tradizionale tavola rotonda. La neonata sezione bande à part indaghera’ – spesso muovendosi al confine tra fiction e do*****entario – i nuovi territori della sperimentazione; ma dando conto anche delle opere piu’ recenti di autori dal linguaggio sempre personale. Nell’anniversario del 1968, la mostra ripropone, alla presenza dell’autore fernando solanas, il caposaldo del cinema politico la hora de los hornos, che proprio a pesaro ha avuto la sua anteprima mondiale, 40 anni fa. Ancora politica con l’omaggio al filmmaker amir muhammad e al suo sguardo libero – e talvolta censurato – sulla storia della sua terra, la malaysia. Cinema in piazza accogliera’ anche quest’anno nello scenario di piazza del popolo una selezione di film provenienti da tutte le sezioni del festival. Per dimostrare che il nuovo cinema piace anche al grande pubblico. Rilanciando l’attenzione pluriennale verso il cinema ispanico, pesaro ospita per la prima volta in italia una vetrina dedicata al progetto cine en costrucción: cinque lungometraggi latinoamericani inediti in italia, per scoprire i talenti di domani. Giunge alla seconda edizione il premio amnesty international, che segnalera’ il cinema piu’ attento alla difesa e alla promozione dei diritti umani nel mondo. Si conferma anche lo spazio anticonvenzionale del dopofestival, un’incursione nelle nuove frontiere dell’audiovisivo, tra cinema e arte. Pesaro, un luogo dello spirito, diceva Pier Paolo Pasolini. Sono passati tanti anni, ma la Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, fondata nel 1965 da Lino Micciché e Bruno Torri e diretta dal 2000 da Giovanni Spagnoletti, continua a guidare gli spettatori in territori inediti, spesso inesplorati: luoghi dello spirito, appunto. Da scoprire (o riscoprire), viaggiando in direzione ostinata e contraria rispetto ai festival, sempre più numerosi, che si propongono soltanto come vetrine per i titoli di prossima uscita: non così a Pesaro, che pure in questa 44. edizione può contare su almeno due film di sicuro avvenire nelle sale (Un conte de Noël e Eldorado, entrambi premiati a Cannes). Perché l’ambizione è soprattutto un’altra, iscritta nel DNA della Mostra.
Un patrimonio genetico fatto di ricerca e di cultura, che ogni anno si rinnova per proporre al suo pubblico uno sguardo diverso sulla produzione internazionale: un viaggio nel cinema di oggi, per (pre)vedere il cinema di domani.
Pesaro Film Fest: Dario Argento e Berlino Protagonisti

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Once

Recensione: Once

Cos’è Once?
Un film d’amore mal riuscito?
Un musical malriuscito?
Di sicuro, a primo impatto c’è che il progetto del regista di videoclip (ma va?
) John Carney sembra decisamente incompleto, goffo, impreciso e scricchiolante, nonostante i mille plausi ricevuti al Torino Film Festival come al Sundance.

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La trama è esangue e la narrazione la segue a ruota, improvvisando un realismo un po’ troppo minimal nei dialoghi e negli approfondimenti introspettivi di personaggi a malapena accennati, che esprimono il loro sentire solo a mezzo musica. Un uomo, dall’imprecisa condizione economica, si aggira nel centro di Dublino suonando con un’improbabile chitarra sgangherata , pezzi scritti di suo pugno. Bei pezzi, anche se dagli incisi un po’ lunghi e martellanti. Una ragazza dell’Est lo incontra per caso e rimanendo colpita dalla verve musicale di lui, decide di affiancarlo nel breve percorso musicale che entrambi percorreranno, e che li portera’ ad incidere insieme un solo unico disco, in un’unica lunga notte di musica. Il film di Carney non si salva da imprecisioni e non lesina imperfezioni che conducono dritte dritte alla noia e al tedio più puro, nonostante ciò qualcosa di questo piccolo progetto conquista, ammanta e seduce. Sara’ il suo dimesso aspetto indie (finalmente) non pretenzioso e smaccatamente autoriale (quindi snob, come la maggior parte degli indie), sara’ la recitazione purista della giovane Markéta Irglová, ripresa con una camera a mano che sembra immortalarla nella pellicola nonostante la sua volonta’ e senza assenso. Sara’ propio il viso enigmatico e indecifrabile del protagonista Glen Hansard, leader del gruppo The Frames, a cui appartengono le canzoni. Non so, eppure nonostante gli innumerevoli difetti Once ha un quid compatto che commuove e avvicina, che parla al cuore (e alle orecchie) dello spettatore, e benché non abbia nell’empatia e nell’impatto la sua forza più trascinante,  qualche sensibilita’ particolare si ritrovera’ comunque stregata dagli sguardi di Hansard e dalle strofe delle sue canzoni, che trapassano una rabbia sconfitta che in più punti fa vibrare l’aria e lo schermo. Hansard si produce in una grinta vocale che nell’ultimo verso si arrende e sbiadisce, lasciando sempre il passo alla malinconia anche se rock, stupendosi di volta in volta dei complimenti ricevuti da chi ascolta i suoi brani.
Once è un film emotivo e suggestivo, consigliato a chi ama la musica e non perdera’ la pazienza allorquando scoprira’ che la pellicola altro non è se non il lungo filmato della genesi di un album, oltre che la parabola discendente di un’amicizia, un feeling artistico che non decollera’ mai come amore fisico, eppure riecheggiera’ profondo e sospirato nell’ultima, nostalgica scena in cui Hansard fa qualcosa di concreto per dimostrare alla sua fugace compagna d’avventura una disinteressata gratitudine. E sara’ bello vedere il volto di Hansard finalmente illuminarsi in un sorriso, al pensiero intimo e rilucente, della  sua amica per una volta felice.Once: Un lungo videoclip. Grande forza musicale in grande debolezza cinematografica.

La Frase: “è che mi sento molto solo e tu sei bellissima.”, Glen Hansard, Once, 2008

Nota: di Roberta Monno
Once

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Le Cinque Variazioni

Recensione: Le Cinque Variazioni

Un viaggio nella psicologia di un film e di un regista. O di due?

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Le cinque variazioni è una tortura d’amore inflitta dall’ allievo Lars Von Trier al Maestro Jorgen Leth, colpevole di non riuscire a sbagliare, punibile con il remake (cinque volte) di un suo capolavoro del 1967: L’Essere Umano Perfetto. Von Trier commissiona al collega cinque viaggi intorno alla scomposizione di un progetto che nella sua primigenia fattura appare perfetto, con annesse costrizioni, limiti e ostruzioni che sfiniscono Leth, appassionato seguace delle sadiche imposizioni del mefistofelico regista di Dogville. Il film si ordina, geometrico e macchiavellico, come una caleidoscopica matrioska, una narrazione multipiano da cui trapelano miliardi di fasci di luce sopraggiunti da innumerevoli fessure lasciate socchiuse, tra cui lo spettatore può, fra una vertigine e l’altra, sbirciare. Un compendio originale e geniale in cui intenzione di messaggio e metodologia narrativa si scambiano suggerimenti in modo osmotico e non districabile: il materiale di cui il regista dispone è il frutto delle indicazioni dello stesso, che tuttavia non lo gira ma lo dirige a distanza, certo di ottenere un risultato conforme e funzionale al suo “messaggio finale”: una lettera scritta di pugno da Lars ma fatta leggere dalla bocca di Leth. Una lettera indirizzata allo stesso Lars. Quindi è Von Trier che parla a sè stesso per bocca di Leth, certo tuttavia di interpretare i pensieri e i vaneggiamenti dell’amico, che vuole “aiutare” con un progetto che lui stesso definisce pedagogico e “Salva Leth“. Un esercizio di finzione pura e suprema, un attorcigliamento edonistico, estetico e naricisistico, o un’autocompiaciuto esercizio di stile e di potere, umano e tecnico?
Le Cinque Variazioni è un operazione che va vista e rivista per sviscerarne propositi, sottotracce e sottili perversioni. Ad una prima occhiata si consacra tuttavia come superba e folgorante opera sugli scuotimenti della tecnica e della narrazione, usando l’una e l’altra come nessuno saprebbe fare in maniera altrettanto ipnotica, malvagia e masochista assieme.Von Trier gode e scava nella ricerca della deturpazione di quello che è, a suo stesso dire, uno dei suoi film – gioiello preferito (L’Essere Umano Perfetto, appunto), e da questa inflizione di dolore per sè e per il suo collega, tira fuori una mole di sequenze e di materiali che gli consentono la montatura di questo estremo gesto cinematografico, che nel monologo finale si rivela attraverso la somma menzogna: chi  è che parla?
Chi è che ascolta?
Chi finge di essere il mittente e chi il destinatario?
Ma il cinema è questo, signore e signori. Un inganno reiterato e dissimulato con la costante pretesa di verita’; tutto si gioca nell’autenticita’ della bugia, e la perdita di percezione della voce narrante e agente segna il passo in uno dei più brillanti esiti filmici degli ultimi anni.

Raccontare Leth per, sotto sotto, raccontare se stessi, i propri gusti, le propie influenze visive; “Jorgen  aveva fatto quel film a cui ti sentivi legato da una parentela strettissima; allora devo essere legato anche a Jorgen, hai pensato,  e come volevi essere castigato tu hai castigato Jorgen in un attacco personale“. Il passato cinefilo coprotagonista assieme al fruitore e al creatore, modificato nel presente dal fruitore modificato da esso.
Von Trier è quello che è anche per i film che ha visto e che ha amato,  che non si limita a “rifare”: Von Trier agisce direttamente sul loro regista, “rifa’” il regista.
Lui può.Von Trier lavora per sottrazione (ricordiamo il suo movimento minimal, Dogma), e senza l’ausilio di supplementi virtuosistici e suppellettili recitative (“Che noia questi attori!” lascia intendere spesso), si produce nel do*****entario più sceneggiato, progettato e meno reale che ci sia; eppure tutto  è realistico, e quanto filmato non è posato: è vero.
La storia e l’intento, si costruiscono da sè e si complicano cervelloticamente senza abusare di un montaggio sofisticato e lieve: cronologico e alternato assieme, di certo non alterante.
La mente di Lars e i suoi disegni sono abbastanza complicati da non richiedere altro, e la sua salda sobria e consapevole (fin troppo) mano si prefigura come arto supremo di un deus ex machina che è regista di vita, più che di fiction, almeno è questo il segnale ultimo che ci lancia, custode attento e onniscente dei mille risvolti di questo insolito progetto, ed è così che pare percepirsi e raccontarsi al cospetto del costernato Leth, generoso compagno di un viaggio ai limiti dell’inconscio e del cinema.

Le Cinque Variazioni: Abbiate pazienza e gustatevi questo monile.

La Frase: “Mi costringi ad infliggerti una punizione”: Lars Von Trier, Le Cinque Variazioni, 2003.

Nota: di Roberta Monno
Le Cinque Variazioni

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La Pianista

Recensione: La Pianista

Che distanza separa un aguzzino dalla sua vittima?
Scarsa, miserevole e illusoria, quasi come la ripartizione dei ruoli, totalmente arbitraria e frutto di un’esigenza razionale che mal traduce l’effettiva natura di un rapporto ineffabile.

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E’ la vittima che comanda, e col suo prostrarsi e offrirsi domina la dinamica del dolore che lei sola puo’ fermare e lei sola puo’ iniziare.
In un rapporto sadomaso e’ la vittima ad avere il coltello dalla parte del manico, allorquando il suo “basta” conta, mentre il desiderio di sottrarsi all’inflizione del dolore del “boia” poco dura. Perche’?
Perche’ se non vuoi ricoprire i panni dell agnello sacrificale difficilmente questo sentimento / desiderio insorgera’ a fronte di una sadica richiesta, diversamente un torturatore sopito c’e’ in ognuno di noi, e’ un supplemento caratteriale e di indole che ogni uomo si porta con se’, ed e’ il solo che potra’ vedere la luce se correttamente pungolato.

Ecco che Erika (magnifica Isabelle Huppert), professoressa di pianoforte del Conservatorio viennese, subisce la corte del prestante allievo Walter (giovane bravo e pruriginoso Benoit Magimel).

Walter intuisce che dietro la coltre di nebbia e brina della sua docente si nasconde un fuoco che arde e brucia passione, anche se gli sfugge la portata di quel fuoco e piu’ semplicemente mai potra’ intuire i gusti sessuali della frigida signora.

Erika non sente niente, per questo ha bisogno di soffrire. Erika si odia perche’ non riesce a non subire l’asfittica madre che la tratta come una ragazzina, e nel neon della sua stanza da bagno si masturba con lamette che le allentano frustrazione e calmano il rigetto per se’ stessa.

In prima battuta Erika tenta di sottrarsi all’aitante studente a cui in seguito cedera’, anche se a modo suo.

“Se mi vuoi , picchiami, legami, frustami in presenza di mia madre, prendimi a pugni e distruggimi”.

Walter, costernato, patisce con dolore la scoperta che la donna dei suoi sogni e’ una psicopatica, eppure non riuscira’ del tutto a non eseguire quanto lei comanda, e in una turbinosa e bellissima (in termini recitativi oltre che registici) inversione a U, lentamente, si trasformera’ in quel mostro che bisogna essere per assecondare Erika, che infine torturera’ spontaneamente, desiderando sinceramente di farla soffrire, in un approdo di crudelta’ inizialmente impensabile.

La richiesta dell’umiliazione che si soddisfa e si realizza per il solo fatto di esistere e pretendere.

Un finale amaro, acido e crudo chiude questo poetico e disarmante saggio sul dolore che “vuole, fortissimamente vuole” e impera.

Strepitose le ambientazioni austere e cromaticamente glaciali che contrappuntano il livore di Erika, nome dolcissimo per una creatura ditruttiva e regale, potente e mortifera.

La Pianista: Affresco malato di un sentire patologico non tanto raro. Interessante al di la’ dello shock.

La Frase: “Mamma, ho appena visto il tuo sesso” Isabelle Huppert, La Pianista, 2001.

Nota: di Roberta Monno
La Pianista

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News: Titoli Tradotti: Titoli Corrotti

News: Titoli Tradotti: Titoli Corrotti

Dal 12 giugno le sale cinematografiche italiane hanno aperto i battenti al nuovo film della regista svedese Susan Bier con Halle Berry e Benicio Del Toro: “Things we lost in the fire” (le cose che si perdono in un incendio).
Tra le cose andate perse in questo incendio pare ci fosse proprio il titolo stesso del film che, non potendo restare “innominato”, è stato prontamente sostituito da: “Noi due sconosciuti” (titolo preso “in prestito” (?
) da un vecchio film degli anni sessanta in cui recitava un arzillo Walter Matthau).
Ma chi è che sovraintende alle traduzioni dei titoli dei film stranieri in Italia?
Biscardi?
!?
Purtroppo questa drammielatica opera di Susan Bier non è stata l’unica a passare fra le grinfie di questi misteriosi storpiatori.
L’elenco è lungo e doloroso e le deduzioni logiche che hanno portato a tale scempio sono  oscure e imperscrutabili.
Mi chiedo quali macchinosi studi abbia richiesto un titolo come “The Day After Tomorrow” che chiaramente si traduce con un esaustivo “Dopodomani” per diventare infine “L’alba del giorno dopo” o un “Twisted” (Perverso) che si trasforma in un artificioso “La tela dell’assassino”.
Quanti di noi, poi, hanno quasi percepito nell’aria il suadente “Profumo del mosto selvatico” credendolo traslato fedele di un regista ispirato, salvo scoprire infine che si trattava di un’arbitraria manipolazione a posteriori?
!?
Alfonso Arau aveva onestamente intitolato questo film “A walk in the clouds” in onore della  delicatissima pellicola italiana degli anni 40 (con l’indimenticabile Gino Cervi) da cui è stato liberamente tratto: “Quattro passi fra le nuvole” (appunto).
Pensate alla triste storia di questo titolo: oltrepassato indenne più di mezzo secolo e solcato un oceano, ormai credendosi al sicuro da malintenzionati, ha trionfalmente varcato i confini della sua vecchia patria riportato in auge da nomi come Keanu Reeves, Giancarlo Giannini, Anthony Queen per poi trovarsi pugnalato alle spalle dai suoi stessi conterranei che lo hanno brutalmente estromesso dalle sale cinematografiche a favore di quel più fresco e roseo “Profumo del Mosto Selvatico” che ha preso indebitamente possesso delle nostre memorie.
Per non parlare poi dell’incongruenza stessa del titolo  perché, fra la vasta gamma di aggettivi da accompagnare alla parola mosto, selvatico era certo la meno azzeccata. Come può il mosto essere selvatico?
Si è fatto da solo?
Anche dall’italiano all’inglese, purtroppo, le cose non sembrano andar meglio perché l’indimenticabile cult di De Sica dallo stentoreo titolo “La ciociara” (tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia) è diventato oltreoceano uno stentato “Two women”…
Mi trovo pertanto costretta a concludere dubbiosa sull’Ansa che ho testè ricevuto, tradotta in italiano da chissà quale turlupinatore di fragili menti, che pretende di farmi credere che  Halle Berry, nel descrivere il carisma di Benicio Del Toro, si lanci in un’ardita metafora dal sapore metallico: Benicio Del Toro?
È seduttivo come un magnete!”.
L’avrà detto sul serio?
Sarà stato un complimento?
Ai posteri l’ardua sentenza.

Nota: di ellebi
Titoli Tradotti: Titoli Corrotti

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Cous Cous

Recensione: Cous Cous

Dal regista Abdel Kechiche un nuovo film all’insegna delle difficoltà vissute dagli arabi in Francia.

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Il protagonista è Bejii Slimani, un sessantenne che perde il proprio posto di lavoro al porto di Séte perché non riesce ad adattarsi ai nuovi orari flessibili.
Si ritrova così insoddisfatto con una numerosa famiglia alle spalle che ancora gli è vicina, una ex moglie e una nuova compagna con la figlia, Rym. Non si arrende però decide di ristrutturare un vecchio peschereccio abbandonato per farne un ristorante il cui piatto principale è il cous cous con il pesce cucinato dalla sua ex moglie. Un impresa difficile perché ha bisogni di fondi, autorizzazioni che le autorità stentano a dargli… Bejii però rifiuta di arrendersi perché questo per lui è l’unico modo per riscattarsi dal fallimento agli occhi della famiglia e di se stesso, per sentirsi vivo pienamente. Il momento cruciale del film è l’abituale pranzo di famiglia a base di cous cous con il pesce cucinato dall’ex moglie.È un momento di gioia , tutti riuniti intorno ad un grande tavolo per gustare qualcosa di unico che ricordi la loro terra di origine.Bejii non partecipa più a questi pranzi però un abbondante piatto per lui c’è sempre e gli viene portato a casa dai figli. Dopo varie peripezie con l’aiuto della famiglia organizza un festa sulla barca per far degustare il prelibato piatto ma accade qualcosa di imprevedibile ed è Rym a dare il meglio di se per salvare la situazione. Il film è un piccolo spaccato della vita degli arabi in Francia fatto senza esagerare e cadere nel buonismo.
Nonostante ciò risulta un po’ lento e ridondante nei vari spezzoni di vita familiare in cui i protagonisti fanno lunghi monologhi che rendono lento lo scorrimento della trama. Gli attori come sempre in Kechinche non sono professionisti e proprio per questo conferiscono al film quel tocco di verità e ne fanno un perfetto squarcio della vita degli arabi francesi integrati nella vita marsigliese. La colonna sonora ben rende il pathos del film ma non ha un ruolo decisivo nella fruizione delle vicende. Un film interessante che con quel tocco di ridondanza in meno sarebbe stato perfetto.

Nota: di Debora Fusco
Cous Cous

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Registi e Attori: Rinvio A Giudizio Per Mario Monicelli

Registi e Attori: Rinvio A Giudizio Per Mario Monicelli

La Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio per Mario Monicelli con l’accusa di diffamazione ai danni del defunto ex Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi.

La vicenda parte nel 2007 quando, nel corso di un’intervista televisiva durante il Festival di Venezia, il 93enne regista rilasciò nel corso di interviste dichiarazioni molto gravi e polemiche nei confronti di Gronchi, definendolo corrotto perché a suo dire responsabile della vendita a privati di diverse sale cinematografiche allora statali, e lo accusò ferocemente di aver messo in atto una vera e propria truffa attraverso l’emissione del celebre francobollo “Gronchi rosa”.

In seguito a queste dichiarazioni la figlia dell’ex Presidente, Maria Cecilia Gronchi, querelò Monicelli, e la richiesta di rinvio a giudizio è ora la conseguenza della querela.   
Rinvio A Giudizio Per Mario Monicelli

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News: Il Sesso Secondo Angelina

News: Il Sesso Secondo Angelina

Secondo colei che molti considerano la donna più bella e sexy del mondo, Angelina Jolie, il sesso fatto durante la gravidanza sarebbe molto più interessante. I maligni hanno subito sottotitolato: non le bastava aver sposato colui che molte considerano l’uomo più bello e sexy del mondo, Brad Pitt, per esser pienamente soddisfatta?

La scottante rivelazione sulla rotonda maternita’ come incentivo al divertimento sessuale è stato al centro della intervista rilasciata a Entertainment Weekly. La scoperta dei due gemelli, che faranno arrivare a 6 il numero dei bambini (di cui 3 adottati) della coppia (da molti considerata la più bella e sexy del mondo) rischiava di passare inosservata?
Ci ha pensato allora Angelina ha rendere piccante e appetibile la notizia.Angelina Jolie ha cosi dichiarato: “Non ci aspettavamo proprio dei gemelli. È stato davvero uno choc. Di colpo abbiamo capito che saremmo passati da 4 a 6 figli. In così poco tempo. Ma a noi piacciono le sfide … [la gravidanza, nda) fa benissimo alla vita sessuale … sei così rotonda e abbondante… Che ti diverti … Non ho idea di come riuscirò a gestire sei bambini (ma per fortuna ci sono i genitori di Pitt, che non vedono l’ora, nda) di offrire il loro aiuto“Ovviamente è gia scattata la gara tra chi riuscira’ ad accaparrarsi l’esclusiva del fatidico evento.
Il Sesso Secondo Angelina

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News: Le Iene Parenti E Viviani: In Galera Ci Andate Voi

News: Le Iene Parenti E Viviani: In Galera Ci Andate Voi

Ingannevole e fraudolento” è stato definito dalla Cassazione il comportamento delle due Iene colpevoli di aver prelevato tamponi di sudore di 50 deputati e 16 senatori al fine di accertare la positività all’uso di stupefacenti, per mezzo di uno stratagemma non proprio ortodosso.

Fintisi giornalisti qualsiasi hanno messo una truccatrice a disposizione dei parlamentari perché gli “tamponasse” la fronte dal lucido sudore.
Da quei tamponi è emerso altro.
Dalle analisi è risultato che 16 test erano positivi alle droghe, in particolare 12 al consumo di cannabis e 4 a quello di cocaina.Davide Parenti e Matteo Viviani, giornalisti della trasmissione televisiva “Le Iene”, sono stati condannati dalla Cassazione per violazione della privacy dei parlamentari. I due giornalisti, condannati a cinque mesi e dieci giorni di carcere, hanno ottenuto dal Gip di Roma la commutazione della pena da detentiva a pecuniaria. Le due Iene si sono difese sostenendo che “I loro accertamenti non permettevano di associare l’esito del test a persone note“, ma la Cassazione l’ha vista diversamente, affermando che, sebbene sia stato mantenuto l’anonimato degli onorevoli, la notizia diffusa nel servizio televisivo andato in onda su Italia1 ha fatto sì che “tutti i parlamentari potessero essere indiscriminatamente sospettati di assumere stupefacenti con la conseguenza che ogni membro del Senato o della Camera dei deputati, nonché l’istituzione parlamentare, ha subito un no*****ento alla sua immagine pubblica ed alla sua onorabilità“. Dunque qualcosa di molto simile alla diffamazione. La sentenza emessa dalla III Sezione Penale parla chiaro, i giornalisti hanno il dovere di rispettare i limiti del diritto di cronaca, e i dati personali possono essere trattati solo “se riguardano fatti e abitudini rese note direttamente dagli interessati o attraverso un loro comportamento pubblico“. E dal momento che nel servizio in questione i due giornalisti hanno utilizzato una truccatrice per raccogliere furtivamente il sudore dei parlamentari, la Suprema Corte ha deciso di condannare Parenti e Viviani per violazione della “normativa in materia di protezione dei dati personali“.

Deduciamo che la condotta dei nostri parlamentari in sede di lavoro (non a casa loro o il sabato sera), non sia da considerarsi un “comportamento pubblico“. Pensa un po’ che a me invece sembra proprio di pubblico interesse la maniera in cui si conducono i lavori in Parlamento, e mi piacerebbe non dover temere che qualcuno decida delle Nostre Leggi (e in qualche modo delle nostre vite) in uno stato psico fisico inappropriato (o no?
O ci farebbe piacere pensare a norme e decreti varati da un nugolo di ehm… “soggetti alterati”?
mah…).
Tuttavia noi non facciamo testo, siamo solo una rivista on line… Che ne possiamo mai sapere dell’Universo Mondo Parlamento Italiano?
!
Nel frattempo ci limitiamo a dare tutto il nostro appoggio e sostegno alla Redazione de Le Iene.

Nota: di R. M.
Le Iene Parenti E Viviani: In Galera Ci Andate Voi

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Registi e Attori: Cinzia Leone Queen of Comedy 2008

Registi e Attori: Cinzia Leone Queen of Comedy 2008

L’attrice Cinzia Leone è stata premiata come “Queen of Comedy 2008” in occasione del Festival MIX di Cinema Gaylesbico e Queer Culture al Teatro Strehler di Milano. Nelle precedenti edizioni il premio è stato consegnato a Angela Finocchiaro, Carmen Maura e Sandra Milo.

Cinzia Leone, amica di Comedy Central e protagonista nel 2007 di Comicittà, il festival di intrattenimento comico organizzato da Comedy Central e da Mtv Italia, è apparsa visibilmente commossa durante la standing ovation del pubblico. Oltre a dirsi onorata per il premio ricevuto, ha voluto sottolineare che “Adesso c’è un mercato che sta lavorando esattamente sulle esigenze degli omosessuali, ma è un mercato. Rischiate di essere inghiottiti da un mercato che omologa tutti e che studia gli essere umani, togliendogli la parola umani, e facendoli diventare solo un target di consumo. Dovete essere voi a riempire tutto quello che fate di cervello.” L’attrice è apparsa recentemente sul grande schermo nei film “Nero Bifamiliare” e “Le ragioni dell’aragosta” e porterà nei teatri italiani il suo nuovo spettacolo “Outlet“.  

Nota: di Mario Onnis
Cinzia Leone Queen of Comedy 2008