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I SEGRETI DI TWIN PEAKS

Recensione: I SEGRETI DI TWIN PEAKS

Twin Peaks” si apre laddove le vicende di “Velluto blu” volgevano al termine. L’immaginario televisivo contenuto nel film fluisce nel serial: c’è ancora un uccellino, questa volta reale, o almeno non robotizzato, ma proprio per la continuità col precedente, non meno inquietante; “non c’è devianza più orribile dell’identità stessa. La conferma della logica che se l’uno è doppio, […] il doppio è uno. La mutazione in se stessi, la più contaminante (E. Ghezzi).

SCHEDA TECNICA

SCHEDA DVD(a d., oscuro compagno di viaggio) L’uccellino torna ad essere normale, questo è l’orrore della bella e tranquilla Twin Peaks, e il film si apre fin da subito sotto il segno del sacrificio, poiché ogni film è un sacrificio. Quello cruciale terribile che muta in se stessi.

Anche il film urla continuamente (suggerisce) di essere un altro, come l’io di Rimbaud e di Freud, che più si conosce più conosce altro e apprende d’essere altro” (E. Ghezzi). L’altro, il doppio fin dal titolo, picchi gemelli, ma tutto è doppio, anche la serie avrà il suo doppio cinematografico in “Fuoco cammina con me!”. È comunque un ritorno: dicevamo un uccellino, il lavoro di fabbrica, tanta legna, una strada (Welcome to Twin Peaks), due cascate che si riuniscono a formare un flusso unico (R. Caccia), un fiume, una straniera allo specchio.

E sarà Pete Martell/Henry Spencer il primo a parlare e il primo a trovare il cadavere. Ancora una scala buia, quella che sale verso la camera di Laura Palmer, come quella da cui scende Jeffrey in “Velluto blu” per inoltrarsi nelle sue indagini: collegamento tra piani in tutti i sensi.
Dei luoghi innanzi tutto: la casa, lo spogliatoio dei ragazzi, l’hotel, lavoro, quotidianità, e da subito tempi e spazi (il bosco, il vento, le rocce) dilatati (proprio nel regno delle interruzioni pubblicitarie), la sensazione (consapevolezza, è un serial) che le cose andranno per le lunghe. Tutto rassicurante, l’abbiamo visto, l’uccellino non è falso, non c’è confusione, nel senso che il giorno è giorno e la notte è notte, almeno nel primo episodio, magari un po’ di più: il normale è idillico; l’anormale, le situazioni di crisi, sono momenti di terrore, panico, come il semplice scoprire che l’uomo della propria amante è già a casa, o un pianto di dolore che si trasforma in un urlo da indemoniata. Alcuni personaggi appaiono strani: paranoia, nevrosi, isteria, ossessioni, delirio, follia, non manca nulla, tutto vira verso il patologico come in una normale soap opera; infatti scrive M. Chion in quanto soap serale, Twin Peaks è rassicurante, come si dice, e mette in scena senza derisione, anzi, il gioco delle storie d’amore e degli intrighi di potere.
Nel primo episodio Lynch si costringe a distinguere e distanziare giorno e notte, realtà e sogno, dentro e fuori, e la sensazione di apertura che si avverte, non è tanto verso il campo lungo e il buio che entrano in TV, ma nell’aria (il vento di “Velluto blu” e di “Eraserhead”) che sembra passare tra quelle distanze.

È tutto contrastato, come la fotografia di Ron Garcia (fotografo del primo episodio), i personaggi sembrano macchie di luce nell’oscurità, o macchie scure nel bianco del fotogramma, a seconda dello sfondo; non è la fotografia soffusa, densa, dai colori del legno delle puntate successive (curata da Frank Byers), piuttosto ha i bagliori e le increspature dell’acqua, l’acqua sulla quale sarà trasportato il corpo di Laura.   Veniamo quindi a Laura, volto-immagine/cosa, cadavere nel sacco e sul lettino dell’obitorio, in fotografia, nel videotape, in sogno, viva ma doppia con la parrucca, voce su nastro, nelle visioni di Sarah la madre, e nel ricordo di James, Laura è come scrive Chion un morto-che-parla [attraverso] dominando le immagini, essendole tutte, le immagini.

E poi c’è Dale Cooper, che appare dopo poco più di trenta minuti come l’uomo elefante, con la faccia bianca, i capelli leccati, l’abito nero, un Jeffrey maturo, ma anche il bambino di “The Grandmother”, e un sorriso ambiguo come in seguito avrà solo nell’ultimo episodio, dopo aver rotto lo specchio. E un po’ più avanti una domanda banale (a Dana, sul videotape girato da James) e come si dice meta(tele)cinematografica: Se c’eravate solo voi due non riesco a capire chi abbia girato queste immagini. La risposta: una persona che le ha amate, Lynch per esempio, o l’autore spettatore che si identifica in James, l’unico che Laura abbia amato davvero, o all’opposto qualcuno che le abbia odiate, Leland/Bob in primis, e Lynch stesso che le crea e infligge loro dolore, e lo spettatore che non ha amato Laura in “Fuoco cammina con me!”. Eppure è proprio lei che nel secondo episodio, dal video chiede Aiutami, come Dorothy/Isabella Rossellini davanti allo specchio a Jeffrey, dopo il suo primo incontro.    È dal secondo episodio in poi che scopriamo meglio dove sono finite le bizzarrie di “Eraserhead”, sono tutte davanti ai nostri occhi, come devianze dalla norma, soprattutto nelle situazioni famigliari: il ragazzo vestito da indiano che sbatte la testa contro la casa di bambole/schermo TV, la donna sulla carrozzina elettrica (la madre di Donna), corpo meccanico che si aggira tra le pareti di casa, il pesce nel caffè, il dialogo in famiglia a tavola tra Bobby, il padre e la madre, la Mary X di “Eraserhead”, non meno spiazzante di quello incentrato sulle unghie sporche di Laura, cui assisteremo nel prequel; e poi Nadine la guercia, ma forse lei è pazza, però intanto si preoccupa di proteggersi dall’arrivo della notte con le tende.

Le stranezze quindi non tardano ad arrivare, poi si aggiungeranno i sogni di Cooper, le visioni di Sarah e di Maddy, gli incubi di Ronette, gli avvertimenti della signora ceppo, le sparizioni del maggiore Briggs. E sono altri i luoghi di cui veniamo a conoscenza, oltre a quelli rassicuranti già visti: il One Eyed Jack, bordello oltre confine, raggiungibile in barca, dove Audrey rischia quanto Laura, dopo aver scoperto esserne suo padre il proprietario, e dove è inutile portare la maschera.

Questo è il posto in cui per il solo fatto di accedervi si è già altro: qui tutti fingono, persino Cooper e Ed saranno costretti al travestimento. Unica eccezione fa Benjamin Horne, lui non ha bisogno di fingersi altro, è il padrone, ma almeno il suo nome deve passare sotto silenzio. E ancora il cottage di Renault nei boschi, in cui si girano film porno, tappezzato di tende rosse che poi dalla mente di Laura si dirameranno a quella di Cooper per creare la redroom. Nel sesto episodio, quello diretto da Leslie Linka Glatter, il cottage imprigiona il canto di Laura (Into the night… I cry
out my name
) nel sussurro di Julie Cruise, e un orologio a cucù dalla porticina fa uscire tante fiches, e lo sappiamo, il tempo è denaro in pornografia.   Anche il bagno della scuola non ci appare più così familiare, visto che i colori delle pareti e la luce spettrale ci riportano ai bagni dell’Overlook Hotel di Kubrick. E quei disegni, quei quadri di paesaggi naturali che racchiudono il fuori dentro, come la terra e le piantine di Henry Spencer. Ci turba (perturba) anche la telenovela che si guarda a Twin Peaks, che sembra suggerire sinteticamente ciò che succede nel serial che stiamo vedendo. In “Invitation to Love” il velluto blu è stato sostituito con del raso, più liscio, meno organico, come la TV, scivolosa, fredda: è al suo ferimento che Leo Johnson assisterà nell’ultimo episodio della prima serie, come ad uno specchio; Montana, uno dei personaggi di “Invitation to Love”, alter ego di Leo, si accascerà al suolo ferito. Ed è ancora col volto riflesso in uno specchio che lo ritroveremo, intubato nelle macchine dell’ospedale in apertura della seconda serie, una specie di prigione dirà Shelley (anche Laura sarà costretta a guardarsi agonizzare e morire davanti ad uno specchio nel finale di “Fuoco cammina con me!), come se il destino del (tele)spettatore fosse questo.  Per fortuna ci sono i dolci e il caffè (quasi uno spot viene ad esso dedicato da Cooper nel settimo episodio diretto da Caleb Deschanel: Non c’è niente come una tazza di caffè nero dice McLachlan col sorriso da televendita) a tranquillizzare lo spettatore medio, confuso più che dalla violenza e dalle bizzarrie, dall’onirismo e dalla circolarità costantemente ribadita (penso al Road House che riunisce i personaggi in un’ipnotica melodia, sempre per comunicare loro qualcosa) per sviare dalla linearità obbligatoria del serial (i tempi poi sono cambiati…“Lost” è solo un esempio tra tanti).
“Twin Peaks” è proprio un sinuoso movimento di macchina che volteggia su un tavolo ricoperto, in ordine: da un vassoio ricolmo di dolci profumati al caffè nero, da giornali porno (“Fleshworld”, trovato nella cassetta segreta di Laura) al ritratto di Laura, al buffo Andy che piange per lei; sovrimpresse immagini oscure e di morte: “Twin Peaks” sfiora tutto, almeno in superficie. Sempre Chion: L’insieme di Twin Peaks oltrepassa dunque i suoi autori, Lynch compreso e, con un effetto di sovrapposizione di strati e intenzioni, acquisisce la forza straordinaria del poema epico o del libro religioso, che, come è noto, è una compilazione composita.
Lynch dal primo episodio della seconda serie concentrerà tutti i suoi personaggi in un ospedale; da lì, notte e giorno, incubi e paure cominceranno a confondersi, e Bob apparirà a Maddy anche in pieno giorno, a casa degli zii dopo una cantatina con gli amici. E Donna, l’amica di Laura, mostrerà segni di possessione, indossando i suoi occhiali scuri: è la scelta di non voler vedere più ‘chiaramente’ ma con occhi nuovi, velati, uno sguardo che richieda anche l’immaginazione, il completamento da parte del soggetto. Di conseguenza la seconda serie sarà piena di enigmi, e subito nel secondo episodio Lynch inizia ad incrociare il primo “Twin Peaks”, che ha al centro l’omicidio di Laura Palmer, e il secondo, che vede l’arrivo del rivale di Cooper, Windom Earle.
La violenza stessa, prima trattenuta, ora esplode nel settimo episodio con la morte di Maddy in una sequenza scioccante per l’allora prime time. Il suo volto verrà frantumato contro di noi, contro lo schermo, il buio/luce che duro ci separa e specchia nell’immagine. Urla laceranti, un riflettore spietato ad illuminare lo spettacolo della morte, immagini insistentemente doppie, come sono nella realtà dell’assassinio a cui lo spettatore assiste e come sono nella realtà di chi le ha vissute, offerte ai nostri occhi senza bisogno di soggettive né di Maddy né di Leland/Bob, tutti riuniti… Anche noi al Road House a dare l’addio a Maddy, incantati dalla voce di Julie Cruise, e poco prima dal gigante che ci avvertiva che sta per succedere ancora.., la morte e l’amore, un unico nastro avvolgente.  
L’ultima figura circolare sarà quella del cerchio d’alberi attorno alla porta che conduce alla loggia nera, l’altro nome della camera rossa. Un cerchio d’alberi nell’oscurità sovrimpresso alle tende rosse, alla fine la notte si unisce al giorno, l’incubo alla veglia, il dentro al fuori: La confusione dentro/fuori è… In realtà non l’ho mai detto, ma per me la vita e il cinema hanno a che fare proprio con questo, dice Lynch in un‘intervista.

Eventi diurni (quelli nella banca, l’ultimo luogo che visitiamo di Twin Peaks) si alternano alle immagini di Cooper nella redroom, luogo della notte. Lo stesso Cooper parlerà attraverso il corpo di Sarah Palmer, in un contesto di pura normalità: al bar RR Sarah parlerà la ‘garmonbozia’ (il linguaggio del nano).

E poi l’indistinto, l’identità (frantumata), tutta la parte finale nella redroom: La paura e l’amore aprono le porte, così scopriamo essere doppio anche l’accesso alla redroom, due porte, due le facce, i volti, uno solo il corpo che le porta, il soggetto che raggiunge il limite, e dunque mille e più i corpi, moltiplicati per i soggetti che sognano, che vedono.  
Altro e lo stesso il luogo della paura: perdersi, poiché ogni stanza è uguale all’altra, ma non ne siamo poi così sicuri, nemmeno il caffè nero è piu lo stesso, i volti mutano, gli occhi si sbiancano, il sangue affiora e cola rosso sulle tende, si ritrovano i propri nemici (Windom Earle/Bob/Leland), i propri fallimenti (Annie, neanche lei è riuscito a salvare); i vivi si confondono con i morti, le copie, i sosia con gli ‘originali’, il vero e il falso come al cinema, in attesa di uscire, ma non è dato sapere se si sarà più gli stessi.

Cooper uscirà con Bob dentro di lui, mentre la sua parte buona continuerà a smarrirsi, sdoppiare, sfaldarsi dentro la camera d’attesa. La sigla, l’ultima del serial (anche lei non potrà più essere la stessa), mostrerà una tazza di caffè, riflesso il volto rovesciato di Laura Palmer.
Si esce rovesciati dalla redroom (redrum-murder, “Shining”), invertiti come il linguaggio del nano e la tecnica di ripresa adottata, che inverte suoni e movimenti già invertiti, così da mostrarceli in qualche modo riconoscibili, ma dentro portano qualcosa di oscuro, torturante..
Un’inversione di senso che dal Bene ci riconduce al Male, estremi rassicuranti si diceva, identificabili, poiché è così che ci ha abituato il serial, ma se gli estremi non lo fossero, tutto sarebbe redroom e si finirebbe senza saperlo per aggirarsi per sempre tra le sue stanze tutte uguali diverse. E non è così automatico fuggire da questa prospettiva, forse è necessario spaccare lo schermo TV, fuggire dalla Twin Peaks televisiva per entrare nel suo doppio cinematografico, ossessivamente contaminato, lacerato da altri schermi, porte, visioni, ripetizioni…..(il seguito nella recensione di “Fuoco cammina con me!).

Nota: di Tomas Tezzon
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