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25a ora

Recensione: 25a ora

Per le ultime ventiquattro ore di libertà, prima di scontare sette anni di prigione per spaccio di droga, Monty Brogan (Norton) chiama a raccolta le persone più care: due amici di infanzia, l’uno un timido professore di liceo (Seymour Hoffman) l’altro un cinico broker di Wall Street (Pepper), la fidanzata Naturelle (Dawson), su cui ha forti sospetti, e il vecchio e stanco padre, probabilmente l’unica vera figura affettiva che saprà dargli conforto.

SCHEDA TECNICA

SCHEDA DVDSarà per Monty l’occasione per riflettere sulla sua vita, sulle scelte fatte e sugli errori commessi, tra un presente dominato dalla disperazione per il destino che lo attende, un passato di ricordi dolci (l’incontro con Naturelle) e amari (l’arresto) ed un futuro con un impossibile sogno di fuga, magistralmente messo in scena nell’ultima, struggente sequenza. Dopo un’intera filmografia dedicata alla condizione sociale dei neri in America, tra cui si distinguono film come Malcolm X o Clockers, che hanno reso Spike Lee un’icona  della cultura black, con La venticinquesima ora il regista americano offre una riflessione sulla totalità della società americana, profondamente ferita dall’attacco al World Trade Center, e in una disperata crisi di identità. Lo fa seguendo il metodo che aveva caratterizzato il suo approccio nel raccontare storie di emarginazione razziale: la progressiva e inesorabile distruzione dei miti fondanti la civiltà statunitense. Primo tra gli altri quello del successo: Monty Brogan è un personaggio che proviene dalla piccola borghesia (il padre è un vigile del fuoco in pensione), che pur non essendo un uomo senza scrupoli, per avidità (e forse è qui che si esplicita il pensiero di Lee), sceglie di intraprendere la carriera criminale, andando incontro ad una dura punizione.Il mito dell’amicizia: le figure del broker e del professore sono dipinte come i due poli della stessa incapacità di empatia nei confronti del triste destino dell’amico, l’uno ostentando una apparente sicurezza che nasconde il timore di una sorte simile (non si dimentichi l’altro grande trauma americano del passato recente: le azioni truffa e il crollo dell’impero Enron), l’altro incarnando le debolezze e l’inadeguatezza dell’attuale uomo di cultura al quale è sufficiente trovarsi davanti alle grazie di una giovane alunna (una provocante Anna Paquin) per prescindere dai propri valori. Per ultimo ma non meno importante il mito della pacifica convivenza e collaborazione delle comunità etniche, o per dirlo in una parola, il mito del “melting pot“, sbandierato ai quattro venti come esempio e modello di modernità del nuovo mondo, contrapposta alla immobilità europea. Qualcuno ha giustamente osservato come la sequenza in cui Monty parla con se stesso davanti allo specchio ricordi un altro splendido film con New York come scenario: Taxi Driver. Il celeberrimo “stai parlando con me” di De Niro riflette l’alienazione e lo smarrimento metropolitano, esattamente come la reiterazione del ***** di Norton esprime tutta la disperazione e la solitudine emotiva di un uomo che sente di aver sprecato la sua vita. Il protagonista del film di Scorsese riuscirà a dare significato alla realtà attraverso un atto di violenza che lo porterà ad essere acclamato come un eroe, e a potersi paradossalmente integrare nella società civile; per Monty invece non c’è margine di riscatto, i suoi gesti, le sue parole non sono altro che il preludio ad un lungo periodo di sofferenza: “per Monty non c’è speranza” si dicono i due amici, nulla sarà più come prima si diceva dopo l’attacco di quell’undici settembre alle torri gemelle, quando l’America è precipitata in un incubo da cui forse non si è ancora svegliata.

Nota: di Giuliano Iaccarino
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