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Rocky Balboa

Recensione: Rocky Balboa

Quando si dice “Col silenzio si fa miglior figura“.

SCHEDA TECNICA

SCHEDA DVDRocky Balboa è un delirio: un delirio recitativo, ad opera di un attore (attore?
) ristrutturato/devastato da bisturi e intrugli chimici vari, sulla falsariga del mostruoso collega Mickey Rourke.Stallone, mai stato dotato di grande espressivita’, riduce 102 (interminabili) minuti di film, ad un semi paralitico roteare del labbro gonfio e storto. Esibisce sguardi più da triglia del solito, inquieta con sopracciglia dipinte e berretto inclinato, che lo fanno assomigliare ad una marionetta in un teatrino di pupi (dell’orrore). La prima parte del film evoca la defunta Adriana, onnipresente, protagonista di flashback (non malvagi, sfumati quanto basta per non guardare mai troppo bene in viso l’ei fu Balboa giovane e aitante), e di dialoghi, quanto mai lenti, scialbi, inutili e retorici fino allo sfinimento, fino all’insorgere di fulminanti carie dentali, causa eccesso di glucosio. Le variabili introdotte da Stallone sceneggiatore sono: la relazione inossidabile col cadavere della consorte, il rapporto da crocerossino in action con Marie e Steps, madre e figlio residenti nel peggior quartiere di Philadelphia, a cui Rocky offrira’ lavoro e protezione per via di un non meglio specificato senso del dovere, nonché l’inquieta (!) e controversa dinamica padre – figlio col primogenito Rocky jr, talmente legato al papino da volergli impedire di combattere, non certo perché schiatterebbe dopo due minuti, ma per via delle “luci dei riflettori” che si riaccenderebbero sulla loro famiglia, e lui, stanco di essere da sempre “solo” il figlio di Rocky, proprio non le vuole. Così dopo infinite sequenze che raccontano il presente dell’ex pugile (e non si capisce se sia la sua vita a essere squallida e misera, o se la sensazione di pidocchiume derivi dalla pessima qualita’ del girato), finalmente partono i minuti dedicati all’allenamento del signor Balboa, che ha un addome più tosto e teso di quello cellulitico del suo avversario, il frescone campione del mondo Mason Dixon. La salita sulla scalinata con colonna sonora a seguito?
C’é. L’allenamento in una palestra fetiscente con Paulie che urla sguaiato?
(a proposito, lui è l’unico a uscire indenne da tutto ciò) C’è.
Rocky che prende a pugni la carcassa di una vacca appesa al gancio da macellaio?
C’è. Ovviamente il combattimento va come tutti prevediamo che vada, ovvero come nessuno si sarebbe aspettato: Dixon non atterra il nonno dopo i consueti trenta secondi, anzi, le piglia di santa ragione e il match (per lo più un’esibizione, non un vero combattimento) termina quasi alla pari, con Rocky come vincitore morale. Ai punti vince Dixon, ma il pubblico è in delirio per lo stallone italiano. Ora, cosa mi significa questa punta di realismo finale in un film che avrebbe potuto riscattarsi con una conclusione travolgente, in cui Rocky fa stramazzare il pivello, invaso da una forza sovrannaturale?
Tutta l’opera è talmente parlata, talmente senza vis nè brio da sembrare più una piece teatrale surrealista, che un film d’azione, pur sempre un cult che del realismo non sa che farsene.

Rocky ricorda e si strugge per tutto il film, fa lunghe dissertazioni sul tempo che passa manco fosse incarcerato in una casa di riposo.
Il suo sguardo appassito ci contagia, e con un filo di depressione ci chiediamo come sia possibile realizzare un film schizofrenico, in cui la visione si contraddice tanto con la scrittura?
Nei dialoghi si fa continuo riferimento alla grinta e alla voglia di lottare mai sopita in Balboa, ma giuro, quest’uomo pare stia per spegnersi sotto i nostri occhi, vedere per credere. La regia è indecisa, ubriaca e appannata. L’uso della camera a mano a malapena risolleva l’annichilente piattume di un lavoro poco curato, gestito in modo non troppo sofisticato, tutto impregnato sul (supposto) carisma del protagonista. L’idea che si innesta nel cervello dello spettatore è che Rocky sia la (neanche tanto celata) metafora della vita di Sly, un uomo che non è stato quasi nulla al di la’ dei personaggi che ultimamamente ha fatto di tutto per riportare in vita (Rocky, Rambo), a costo di faticose metamorfosi fisiche e personali, non di molto inferiori a quelle patite dal suo pugile.
Stallone ha seguito regimi dietetici impossibili e ha ricostruito il suo corpo al fine di “risalire sul ring”. Ha chiamato all’appello il parterre di avversari storici per dar vita a una reunion di tutto rispetto (Mister T, Lundgren, Carl Weathers) e tutti hanno declinato l’invito.Stallone ci ha creduto fino in fondo, dispiace dovergli dare torto.Rocky Balboa: Errore registico e recitativo grave.La Frase: “Lo hai detto a tuo figlio, non è importante come colpisci, l’importante è come sai resistere ai colpi, come incassi e se finisci al tappeto hai la forza di rialzarti… In piedi! In piedi! In piedi! » Sylvester Stallone, Rocky Balboa, 2006

Nota: di Roberta Monno
Rocky Balboa

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