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La Promessa Dell'Assassino

Recensione: La Promessa Dell’Assassino

A metà tra thriller e noir, La promessa dell’assassino potrebbe apparire ai nostri occhi come un meta-genere, dove la poesia, attraverso la fioca luce delle immagini, si irradia e pervade tutta la storia.

SCHEDA TECNICA

SCHEDA DVDPoesia, o forse sarebbe meglio definirla poeticità, è quella che lynchianamente penetra gran parte delle immagini del parallelo universo londinese del film di Cronenberg (escludendo quegli sprazzi di luce di alcuni esterni e della casa di Anna, che ci ricordano che il giorno esiste ancora), di una città estranea alle sue tipiche figurazioni metropolitane e più vicina ad un’ambientazione da ghetto; in una delle prime inquadrature, quando Anna attraversa un ponte con la sua moto, il paesaggio mostratoci dal regista non è permeato di indizi urbani specificatamente Londinesi e il London-bridge, appunto, ci appare lontano, sullo sfondo dell’inquadratura. Una prima indicazione, questa, di come Londra sarà soltanto lo sfondo noir di questa storia: le location del racconto sono quasi sempre le stesse -casa di Anna, ristorante, ospedale- (si susseguono con un ritmo alternato mentre l’incipit e l’explicit della frase iniziale del diario di Tatiana, la ragazza russa deceduta all’ospedale, si ricongiungono circolarmente nel finale) e portano avanti il marchio etnico russo predominante nella storia, eppure sono anche pervase da quella particolare atmosfera londinese da ombre e nebbia, che richiama, appunto, l’oscurità di luoghi e situazioni “noir”. Poesia della luce /ombra, che illumina il volto di Naomi Watts di una luce aurea e il volto dei criminali di una luce giallo/carminea: l’ombra che occulta, con il suo oscuro velo, il corpo di Cassel mentre invano, sulla riva di un canale, cerca di assolvere il compito dettato dal padre, e la luce (non più luminosa ma invasa dall’oscurità) che rivela il bacio dell’assassino con Anna, nel mezzo di un pastiche di bene e male (nel triangolo Anna, Nikolai e Kirill) in cui un posto a parte occupa Semyon, il quale diventa l’elemento antagonistico per eccellenza e ostacolo da superare per sciogliere l’intreccio. Nel frattempo, male e bene si mescolano nel film continuamente: l’amicizia di Kirill con Nikolai oscilla spesso tra sentimenti di odio e amore, così come quella tra lo stesso Nikolai e Anna: entrambi tendono a unirsi, in un contesto triangolare, nella stessa direzione: nella scena sul canale Cassel abbraccia Mortensen, il quale bacia la Watts. Dall’altro lato c’è, invece, la vera mafia russa: il corpo mutilato di Soyka, la vendetta di questo omicidio, il barbiere Azim che tende la trappola a Nikolai nella sauna, ed in alto, su tutti, Semyon, patriarca di questo piccolo mondo di russian gangster. Proprio lui incarna perfettamente l’ambiguità tra il bene e il male (che si è incarnata nella bambina, che seppur nata da uno stupro viene sempre dipinta come se la sua natura fosse, in questo caso per contrasto, angelica) attraverso il suo modo cauto di parlare e il suo viso apparentemente onesto e da persona perbene, che non richiamano affatto l’essenza spietata e crudele della sua esistenza ma che enfatizzano quella banalità del male che rende ancor più atroce l’idea del male stesso. E, infine, la poesia del racconto: i personaggi si muovono lentamente (l’unico, grande, esempio di action movie è la rissa nella sauna) e armonicamente si dirigono gli uni verso gli altri ma, allo stesso tempo, con una forza disgregatrice, in una direzione opposta: contro il padre per la libertà (Cassel), contro il capo (Mortensen) per la vittoria, contro la criminalità (Watts) per la giustizia. E per tutti e tre il punto d’arrivo è un riscatto individuale che preannuncia un cambiamento: Kirill potrebbe essere sè stesso e abbandonare i sentimenti di odio causati dal/la mancato/a sentimento/accettazione del padre verso di lui, Anna potrebbe tenere la bambina e riscattare il figlio che non è riuscita a tenere dentro di se (a causa di un aborto). E Nikolai ?
Lui potrebbe diventare Il re. E’ lui, attraverso il suo obbiettivo, il perno che fa scattare questo meccanismo, questo cambio-situazione. Ma come può, Nikolai, diventare re se il capo (Semyon) è ancora al suo posto?
Il male e il bene si uniscono in un bacio che ha in sé tutta l’ambiguità dell’esistenza e racchiude anche il pensiero finale del film: Nikolai rientra nell’oscurità, dalla quale era uscito in quelle poche scene in cui seguitava a vedere Anna, e il loro bacio ha suggellato il loro patto.  La scena seguente ci mostra il cambio-situazione finalmente concretizzato: la bambina vive con Anna che è rimasta nella sua famiglia e nella sua casa, ciò vuol dire che non sarà più in pericolo; lo zio, prima esiliato (perché sapeva troppe cose) vive di nuovo con loro. Tutto ciò perché Nikolai è diventato re: è al ristorante, seduto al posto di Semyon; attraverso le parole di Tatiana comprendiamo che Londra è stata la sua occasione per avere una vita migliore e non restare sepolto sotto le macerie. Quasi a voce bassa e senza turbare (per lo meno in maniera esplicita) Cronenberg finisce il suo racconto: ma questo, certamente, non è quello che siamo soliti definire un lieto fine.

Nota: di Marina Zabatino
La Promessa Dell’Assassino

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