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Lolita

Recensione: Lolita

Il film inizia (ed è già la fine) con l’immagine in soggettiva di una strada avvolta nella nebbia. Anche se il movimento è in avanti noi lo percepiamo come una fuga all’indietro. Si ripete il rituale kubrickiano e la storia è implacabilmente destinata a rinchiudersi ad anello. E’ il tempo del sogno e dell’ossessione, un tempo mentale, soggettivo.

Dissolvenza. Una villa che sembra un castello: è l’abitazione di Quilty (quel genio di Peter Sellers), escrescenza gemellare di Humbert (altro mostro di bravura: James Mason), entrambi ossessionati da Lolita.Humbert ucciderà quell’uomo che come un’ombra lo ha seguito nel suo itinerario di perdizione e lo ha sostituito infine nella realizzazione del suo sogno, sogno che hanno avuto in comune. Humbert, un altro uomo destinato al fallimento, e Quilty sua maschera perversa, entrambi mossi esclusivamente dal desiderio che, come ben sappiamo, insegue solo illusioni ed è condannato a perdersi e ritornare ogni volta al punto di partenza. Flashback: quattro anni prima… Humbert accetta di stabilirsi a Lamsdale, a casa Haze (che dire allora di Shelley Winters?) dopo aver visto Lolita nel giardino, con la musichetta, il costumino, il lecca-lecca, eccetera.

Seguono tre brevissime sequenze che determineranno il tipo di relazione che si instaurerà fra Humbert, Lolita e Madame Haze. Il film è già tutto lì dentro.

La prima: al drive in a vedere un horror, Frankenstein, la creatura fatta a/di pezzi, e le reazioni diverse di ognuno dei tre.

La seconda: davanti agli scacchi, una pedina scavalcherà tutte le altre e sarà proprio Lolita che nonostante tutto ce la farà, almeno a rimanere in ‘vita’.

La terza: Lolita nel cerchio dell’hoola-hop, Humbert la desidera ma non riuscirà mai ad entrare in quel cerchio, anche se ne possiederà il corpo, non ne possiederà il cuore. La prima sequenza, inoltre, ci informa della diversità (e libertà, o medietà) nella fruizione di un film, che di generi ne mescola molti (Lolita è un film che ‘sutura’ più generi, come il barone con la sua creatura, ecco in sostanza il perché del riferimento a Frankenstein), melodramma, noir, comico, poliziesco, horror…come se Lolita (soggetto/film) non potesse che esistere solo se smembrata in più ruoli, spazi, corpi e assoggettata a più sguardi, come in una rappresentazione di quel mondo dello spettacolo di cui lei vorrebbe tanto fare parte.   Tutti vogliono la ragazzina, perversi, pedofili, viziosi, e quanto si è rimpianto all’epoca, specialmente la critica, di non aver visto scene di sesso, dimenticando che ‘siamo’ nel 1962.Lolita: immagine del desiderio (in)soddisfatto, immagine quasi pornografica, quasi non più erotica forse. C’è una sequenza in cui Humbert è a letto con la moglie (la mamma di ) e davanti agli occhi ha la foto di Lolita, alle orecchie ha la sua voce.

Kubrick inquadra la foto, ed è come se da lì Lolita guardasse in macchina. Humbert si eccita, ma in quel momento Humbert siamo noi, presi nella sua soggettiva, attratti dalla foto che ci interpella.

E’ l’illusione di questa vicinanza nella distanza a creare eccitazione, tensione, tra noi, loro, l’immagine; ed è proprio Charlotte Haze a distrarlo, a riportarlo alla realtà. Kubrick allora torna ‘oggettivamente’ sulla coppia, il letto, la stanza.

Humbert si smarrisce, non sente più lo sguardo di posato su di lui, l’eccitazione scompare, infatti Charlotte: Tesoro, ti sento lontano….

Divisi, separati comunque. L’immagine si mostra irraggiungibile, non ci restano che dei frammenti di tempo (il/la foto/gramma). Divevamo distanza, isolamento in famiglia, così si viene a sapere della morte della propria moglie per telefono, da uno sconosciuto, che un minuto prima era lì in casa, lei muore in strada davanti alla propria casa. Beffati dal caso, lei comunque doveva morire, era ammalata.Humbert a questo punto non vede che la fuga, ora può avere tutta per sé.

Nello spazio di una dissolvenza in nero, si consuma il rapporto ‘erotico’ tra i due: è lo spazio del silenzio, del segreto, del non detto, del non visto; come lo chiama F. Casetti il buco nero in cui si va ad annullare la potenzialità della visione, e nulla sarà più come prima. Prima di sapere della morte della madre era tutto così normale si lamenta . Quella normalità che ci rendeva complici del loro triangolo incestuoso, ora si fa pesante coscienza del divieto. Lo stacco nero cancella nella nostra mente la possibilità di avere visto e ricordare è come un virus. Infatti il clima diventa sempre più soffocante: anche noi ora subiamo l’ossessione di Humbert di voler rinchiudere e di rinchiudersi.

Subiamo le maschere persecutrici di Quilty, corpo dai mille volti, incarnazione delle nostre paure, ma è tutto un inganno, una messa in scena. La recita si intromette nella coppia (Lolita viene scelta per lo spettacolo), Lolita diventerà oggetto scopico per altri, e Humbert non riuscirà a sopportarlo.

L’atmosfera si intorbidisce, sempre più pregna dello stato mentale di Humbert che si muove ora in un tempo equilibratissimo e stringente come una morsa tra realtà e sogno. La malattia ha il suo sfogo: lei ha la febbre, lui uno strano dolore al cuore, c’è un’auto che li insegue (un virus: Quilty). Quando dopo anni Humbert la ritroverà sembrerà tutto una ridicola e degradata sit- com, lei travestira come la madre, il fidanzato sordo, invece è la triste ‘realtà’ della fine dell’iganno e Humbert scopre di amarla: dentro quel vuoto muore il feticcio, la ninfetta, ma sorge la ‘persona’. L’ultima scena torna ad essere la villa di Quilty, gigantesco sgabuzzino in cui il cinema va ad ammuffire, nell’attesa di (non) rivedere la luce.

Il luogo in cui le perversioni si accumulano fino al soffocamento, dove il cinema (Kubrick cita i suoi film: Io sono Spartaco. È venuto a liberare gli schiavi?
; ma anche Day of the Fight nella sfida a box che Quilty propone a Humbert. Cita se stesso: il ping pong, il suo gioco preferito; cita il Cinema: Questa è una casa di ariani, e ancora Quilty afferma di avere degli amici che si possono usare come mobili, può pagare per far assistere ad un’esecuzione, Le piace guardare?.

In questo buco di morte possiamo inoltre rinvenire e vertiginosamente trovare elementi del cinema che sarà, Barry Lyndon, Shining, Eyes Wide Shut) si ripete in parodie di se stesso e si rivela nel suo essere, in fondo, pornografia.

Humbert scopre che la sua bambolina è
stata masticata e sputata via dal mondo dello spettacolo, è stata pure in Nuovo Messico, in ville sconosciute di ricconi, proprio dove sembrano essere nati gli snuff movie.

Humbert scopre il volto celato dietro la maschera, e trova se stesso. Spara al ritratto di una fanciulla, la glacialità dell’immagine dell’ossessione, dietro la quale si è nascosto e va a morire Quilty. Contemporaneamente Humbert uccide la sua ossessione, l’immagine del desiserio e il suo doppio in quello che finisce per rivelarsi un suicidio. Resta il vuoto. Humbert muore per un attacco di cuore.

Lei sta per morire, si concentri, cerchi di capire cosa sta per succederle….

Nota: di Tomas Tezzon

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