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The Addiction – Vampiri a New York

Recensione: The Addiction – Vampiri a New York

Kathy matricola di filosofia alla New York University, presa dagli studi su Heidegger e Nietzsche che gli confondono la vita e la mente, viene morsa da una vampira. La sete di sangue risvegliata in lei sarà fonte di una ‘nuova’ visione dell’esistenza. Kathy si ritroverà a cercare di comprendere la verità non nell’oscurità dei testi, ma nell’oscurità del suo cuore.

SCHEDA TECNICA

SCHEDA DVDIl morso della vampira è il dono della rivelazione: Kathy apre gli occhi nelle tenebre. Alla mostra fotografica viene inquadrata in piano medio e alla parete dietro di lei, anzi lì con lei una grande foto, una distesa di morti, tutti i morti da Auschwitz al Vietnam ai morti di Jugoslavia (il film esce nel 1995). Inizia per Kathy un viaggio verso ciò che non è nella luce,  ma dietro di essa. E’ giusto questo ‘arretrare’ di Abel Ferrara nei confronti del colore. E’ come se il bianco e nero denudasse l’immagine, succhiasse via quel colore, quel sangue che è artificio, trucco, quella maschera fittizia che in realtà non apparterrebbe al cinema. In assenza di colore, siamo quasi al negativo quindi, prima dell’iganno, coscienti dell’inganno.
Ferrara che sa benissimo quanto vedere sia anche toccare, si (ci) astiene dal colore impedendoci così di aderire, di credere alla presenza del presente, che altro non è che immobilità, accettazione, invischiamento, agglutinazione;  più precisamente:  identificazione,  fissazione,  proprietà. E’ un’estrema lucidità quella che ci viene concessa, che Kathy ci concede. Kathy muta. Muta in sé stessa e affonda nel proprio corpo, attraverso il corpo altrui. E scopre il sangue. L’unico residuo di vita rimasto è quel sangue nero; secondo Artaud un liquido nero e viscoso, talmente compatto da far pensare a una nuova materia […] e il corpo è duro come pietra.
In “Nosferatu” di Murnau, il Libro dei Vampiri recita che solo una donna può rompere questo terrificante incantesimo. Una donna pura di cuore che offrirà il suo sangue a Nosferatu e terrà vicino il vampiro fino al canto del gallo.
Kathy si fa portatrice di tenebra, che come luce la guiderà lungo il mistero. Questo non potrà che rivelarsi esperienza erotica, nel senso in cui Bataille la intende, “approvazione della vita fin dentro la morte”; ma anche e forse più, “vita che si prolunga fin dentro la morte” come Franco Rella la interpreta in uno splendido libro che ci porta ai confini del corpo. Il corpo si buca e inizia a scorrere il sangue, da un’inquadratura all’altra: dal corpo della vittima fin dentro una siringa e da lì iniettato nel braccio di Kathy; dal corpo di un’altra vittima viene risucchiato dalla bocca di Kathy e giù nella sua gola…E’ una circolazione avvertibile lungo lo scorrere della pellicola, attraverso il fotogramma, fino a farcene sentire l’odore durante la festa di laurea, quando Kathy apre il ‘banchetto’ sputandoci il sangue in faccia, un soffio di sangue, un soffio di morte. E’ un’orgia di sangue, una sorta di rito in nome del vuoto di Dio. Una stanza da cui non si può uscire e tanti corpi che si avventano l’uno sull’altro con violenza, per cibarsi, contagiarsi, scoprirsi, desiderarsi, senza ricorrere all’artificio del montaggio, dei colori, della musica, senza difese, nudo come raramente il cinema si era mostrato (in altro modo ma forse i ‘nudi ristoranti’ di Warhol, le ‘urla sadiane’ di Debord, o forse gli snuff movies..). Nudo in quanto corpo e non spirito, solo corpo che, come dice Jean-Luc Nancy apre questa presenza, la presenta, la pone fuori di sé, la separa da sé stessa e in tal modo la porta verso gli altri. Il vampiro allora vede, mentre gli altri sono ciechi: è lui il vero portatore di luce. Vede che Dio si è svuotato, si è svuotato di sé nell’uomo. E’ all’interno del vuoto o del vuotarsi della presenza che la luce risplende (maggior chiarezza di ciò avremo con “Mary”, cioè che è grazie alla separazione che la presenza viene a noi, nella partenza la verità. In attesa di vedere dove avrà osato spingesi in “Go Go Tales”). Ed è all’interno di questo vuoto che la luce può risplendere, e questa luce non colma il vuoto, bensì lo scava, terribile luccicore (pare che il cinema non possa smettere di fare i conti con “Shining”).
Vede che la vita tesa al bene, non è quella che si conforma ai ‘buoni’ costumi, ma quella tesa all’altro mondo, nel vuoto, quel vuoto apertosi in Dio nel mettere al mondo l’uomo, nel mettere al mondo il mondo. Più che la sfida di Lucifero contro Dio qui c’è già la consapevolezza della Maddalena di fronte al Cristo risorto (la scena della vampirizzazione iniziale perciò muta definitivamente di senso): e ciò che scopre è che il corpo, il mondo, la verità è già altrove, è già altrove pur essendo presente, è qui e allo stesso tempo non qui. E’ il cinema, presenza di un’assenza in quanto assenza, siamo noi spettatori che ci tratteniamo nel luogo dell’impossibile, luogo di vertigine e scandalo. Ferrara do*****enta questo paradosso, la m. D. P. diventa anima che vede–sfiora corpi, ridotti a sepolcri aperti, infinitamente alterati ed esposti nel loro cadere. Usa il cinema non per inglobarci dentro le immagini, ma per permettere a sé, a noi di vedere (osare di toccare) il corpo che è quel film che ci scorre davanti, attorno, e nel suo scorrere il suo assentarsi; che arretra nel suo avanzare, che si dà nel non darsi.
Cinema-do*****entario dunque, cinema-verità che ci fa vedere toccare il vuoto abbagliante del sepolcro…Cocludo con questa frase di Nancy, da portare in sé ogni qualvolta si esce dalla sala: “Tu non tieni niente, non puoi tenere né trattenere niente, ecco ciò che devi amare e sapere. Ecco cosa ne è di un sapere d’amore. Noli me tangere..Ulteriori informazioni:

Nota: di Tomas Tezzon
The Addiction – Vampiri a New York

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