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Stardust

Recensione: Stardust

Meno autorevole di Harry Potter, piùdivertente de Le Cronache di Narnia, Stardust narra le gesta di una sorta di Semola (ricordate La Spada nella Roccia?
) residente a Wall, villaggio inglese ai confini dell’Inghilterra perimetrato da un muro (appunto) invalicabile, che separa il mondo degli uomini da un universo fatato chiamato Stormhold.

SCHEDA TECNICA

SCHEDA DVDTristan, laconico e disastroso ragazzo di bottega, si innamora della bella svampitina Victoria, promessa sposa al bullo del villaggio. La giovine ochetta pare tuttavia acconsentire ad arrendersi alle brame di Tristan, in cambio della stella caduta dal cielo nei pressi di Wall.

Tristan, ebbro d’amore, intraprende così un viaggio alla ricerca della stella (interpretata magistralmente dall’allucinata Claire Danes) da portare in pegno alla sua adorata, e per farlo oltrepassera’il muro che atavicamente separa i due mondi (si dia il caso che la stella è precipitata proprio a Stormhold, attirando l’attenzione di tutte le streghe del luogo desiderose di mangiarne il cuore, che assicura belta’ e giovinezza a chi se ne nutre). La trama si complica se si pensa che il moribondo Re di Stormhold è alla ricerca del suo erede (i suoi sette figli si sono trucidati a vicenda per il trono), e ha trovato un’originale stratagemma per assegnare la sudditanza: lanciato dal reale balcone un prezioso topazio, il Re attende che l’ultimo erede maschio della sua casata glielo riporti.

Ora, il topazio è per l’appunto finito al collo della stella Yvaine, che è stata colpita e trascinata a terra dal monile che vagava fra le sfere celesti (ecco il perché della “stella cadente”). Tutti, per motivi diversi, sono dunque al seguito della bionda stellina, che attraverso mille e rocambolesche avventure si profilera’ come epicentro della narrazione del film di Matthew Vaughn nonché libro di Neil Gaiman. All’inizio la vicenda stenta a decollare e il racconto non scorre come dovrebbe, presentando qualche buco di sceneggiatura di troppo. Il testo di Gaiman sembra soffrire un po’ l’adattamento al grande schermo, per quanto tutto si riassesti e proceda più fluidamente durante il secondo tempo, godendo soprattutto dell’irriverente e simpaticissima performance di un Robert De Niro che da tanto non vedevamo cosìin forma.         Proprio le sequenze del soggiorno di Tristan e Yvaine presso la nave volante del Capitano Shakespeare costituiscono senza alcun dubbio i momenti migliori del film. è qui che il racconto subisce una svolta (Tristan che inizia a dimanticare Victoria assumendo coscienza della sua pochezza), e gustiamo i più orignali contributi recitativi (De Niro dunque, ma anche lo sconvolgimento fisico e di personalita’di Tristan, che da sfigatello bottegaio muta in prorompente e fascinoso simil Orlando Bloom, tutto spada sguainata e chioma fluente, sotto l’egida del paterno Capitano alternativo e “diverso”!).De Niro che balla il can can è poi assolutamente irresistibile, e insieme ai dialoghi post mortem dei fantasmi dei principi uccisisi a vicenda (Primus Secundus, Tertius… Fino a Septimus), si impone conferendo all’opera un tocco surreale, leggero e poco pomposo. La recitazione del giovane Cox (Tristan) è valida alla luce del cambio in corso del suo personaggio, che ne evidanzia mediocri facolta’ istrioniche, per quanto questo attorino non appaia dotato di chissa’quale memorabile charme o incisivita’. Non buca lo schermo, che viene altresì autenticamente polverizzato dallo sguardo arcigno e dalla risata fetida di una buona Michelle Pfeiffer nei panni della strega Lamia, assetata di belta’ e gioventù. L’attrice non è più nel fiore degli anni (e a dirla tutta appare abbastanza credibile truccata e invecchiata come un’ottuagenaria fattucchiera), ma rimane un contributo di classe e spessore ancora in grado di costituire una garanzia per una pellicola. Nel complesso il film non è male, le musiche pertinenti, la fotografia non eccessiva, i costumi credibili e le ambientazioni preferiscono affidarsi alla belta’naturale di paesaggi imponenti, prediligendo location reali a contorti sfondi digitali,  com’è ormai tradizione da Il Signore Degli Anelli in poi. La regia è scattante ma lineare, la voce fuori campo calzante (anche se in alcuni punti sembra proprio assolvere il compito di ricucire i pezzi di un puzzle, che difficilmente si incastrerebbero da soli), il finale è prevedibile (happy end, zucchero e miele), ma il tutto non ripugna, assestandosi nella media di un’opera di genere (il fantasy fiabesco), che conserva anzi il merito di non annoiare mortalmente nonostante i 128 minuti di durata, che proprio pochi non sono. Il punto di forza del film risiede nei suoi passaggi più sopra le righe, meno classici e più autoironici, ma nulla che sia degno di rimanere a vita nelle vostre memorie. A parte il cuoricino sulla guancia di De Niro, s’intende.Stardust: Simpatico film di genere che tuttavia non entusiasma per originilita’ ma non annoia pur essendo abbastanza lungo.La Frase: “La reputazione: una vita per costruirla, un secondo per distruggerla!”, Robert De Niro, Stardust, 2007.

Nota: di Roberta Monno
Stardust

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