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Codice D’Onore

Recensione: Codice D’Onore

Ci sono film che segnano il punto di svolta per un attore o un regista. Pellicole che decretano il decollo di una carriera fino a quel momento incerta o sconosciuta. Pensate a cosa è stato Il Signore Degli Anelli per Viggo Mortensen o Lost In Traslation per Scarlett Johannson, e intuirete il peso che questo film ha avuto nella carriera (fino ad allora tutta Coktail e Top Gun) di Tom Cruise

Codice d’Onore è un esempio magistrale di scrittura cinematografica vecchia Hollywood, tutto dialoghi e prestazioni parlate, più simile ad un opera teatrale che ad un thriller o ad un action movie.
è un film di intelligenza, guidato con sapienza e spessore. è un opera che miscela con precisione chirurgica il lavoro di regia (Rob Reiner – Harry Ti Presento Sally) e di soggetto e sceneggiatura (Aaron Sorkin). Quattro mani che lavorano all’unisono coordinando ambientazioni, atmosfere e dirigendo recitazioni importanti e memorabili. Codice d’Onore racconta la morte di Santiago, marine degli Stati Uniti d’America, ucciso da due suoi commilitoni, che tuttavia raccontano di aver solo eseguito un ordine: applicare il cosiddetto Codice Rosso, procedura violenta di “avvertimento”, non codificata ma usuale nei locali dei Marines. Il caso dei  poveri (lobotomizzati) soldati, viene affidato all’inesperto ma grintoso Daniel Kaffee, un Tom Cruise alle prese con l’interpretazione maestra e primigenia del “rampollo arrogante dal sorriso a trentaquattro denti”. Praticamente il suo pezzo forte, un marchio di fabbrica che vede la luce proprio in questo film insieme al personaggio di Danny Kaffee, successivo al meno fortunato Ron Kovich di Nato Il Quattro Luglio e precedente al “candidato all’Oscar” Jerry Mc Guire, che di Kaffee conserva dentatura luminescente e ottimismo sfrontato. è con questa interpretazione che Cruise dimostra al mondo di saper far altro oltre a pilotare aerei e shekerare tequila, consegnando il proprio nome nell’Olimpo delle promesse (mantenute) di Hollywood.

Memorabile la sequenza in cui Kaffee (ubriaco) non accoglie bene il suggerimento della sua collega Joanne (un’inutile Demi Moore, meno superflua è invece l’interpretazione di un Kiefer Sutherland pre Jack Bauer), di chiamare proprio il Colonnello Jessep (vertice della catena di comando, da cui si suppone sia partito l’ordine) a testimoniare in aula.

Cruise regala un’intensità crescente e prorompente, uno sguardo di fuoco capace di competere e sfidare (nel film come nella recitazione), il Colonnello Nathan Jessep, uno dei migliori Jack Nicholson che si ricordino, suadente, credibile, dignitoso e permaloso. L’occhio venato di follia e il sopracciglio vulcaniano si ammantano di un mal celato sadismo, un’aria autocompiaciuta e gradassa che non vediamo l’ora di veder crollare sotto gli attacchi del “frocetto vestito di bianco” (Cruise), con cui simpatizziamo senza mezzi termini.

Il film (4 nomination agli Oscar 1993: “miglior film”, “miglior montaggio”, “miglior sonoro”, “miglior attore non protagonista” Jack Nicholson “, e vincitore dell’MTV Movie Awards nel 1993 come Miglior Film), nasce come opera teatrale scritta proprio da Aaron Sorkin per i palcoscenici di  Broadway (il che svela in parte la grande qualità della scrittura), ed è con uno dei più memorabili monologhi della storia del cinema di qualità che vogliamo chiudere, ricordando quanto scrittura, recitazione e regia siano i vertici di un triangolo filmico che voglia superare una stagione, e fare scuola per consegnarsi al culto. Colonnello Nathan Jessep.

Jack Nicholson
Tu non puoi reggere la verità. Figliolo, viviamo in un mondo pieno di muri e quei muri devono essere sorvegliati da uomini col fucile. Chi lo fa questo lavoro, tu? O forse lei, tenente Weinberg? Io ho responsabilità più grandi di quello che voi possiate mai intuire. Voi piangete per Santiago e maledite i Marines. Potete permettervi questo lusso. Vi permettete il lusso di non sapere quello che so io. Che la morte di Santiago nella sua tragicità probabilmente ha salvato delle vite, e la mia stessa esistenza, sebbene grottesca e incomprensibile ai vostri occhi, salva delle vite! Voi non volete la verità perché è nei vostri desideri più profondi che in società non si nominano, voi mi volete su quel muro, io vi servo in cima a quel muro. Noi usiamo parole come onore, codice, fedeltà. Usiamo queste parole come spina dorsale di una vita spesa per difendere qualcosa. Per voi non sono altro che una barzelletta. Io non ho nè il tempo nè la voglia di venire qui a spiegare me stesso a un uomo che passa la sua vita a dormire sotto la coperta di quella libertà che io gli fornisco e poi contesta il modo in cui gliela fornisco. Preferirei che mi dicesse la ringrazio e se ne andasse per la sua strada. Altrimenti gli suggerirei di prendere un fucile e di mettersi di sentinella. In un modo o nell’altro io me ne sbatto altamente di quelli che lei ritiene siano i suoi diritti.

Codice d’Onore: Grande film in stile Old Hollywood. Per riflettere e divertirsi.

La Frase :”Io faccio colazione a trecento metri da quattromila cubani addestrati ad uccidermi, quindi non creda di poter venire qui a sventolare un distintivo nella speranza di farmi innervosire.” Jack Nicholson, Codice D’Onore, 1992.

Nota: di Roberta Monno
Codice D’Onore

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