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The Ring

Recensione: The Ring

Un gruppetto sparuto di adolescenti in una baita isolata guardano una videocassetta dal contenuto spaventoso. Un telefono squilla, una voce ti parla (dall’oltretomba, si suppone) e declama che ti restano soli sette giorni di vita. Ovviamente è vero.

Naomi Watts è la zia di una disgraziata spettatrice vittima dello squillo del telefono (eppure siamo in un era post “Scream” ergo post “Scary Movie”… Pare tuttavia che i morti continuino a gradire le linee telefoniche!), ma è anche una giornalista lanciatissima con tanto di pargolo parapsicologicamente dotato (of course, il bimbo è un clone del figlio di Kavin Bacon in Echi Mortali).
La donna si cimentera’ col caso a fianco del collega Martin Henderson e insieme percorreranno un viaggio di “decodifica” dal nastro fotogramma per fotogramma, fino a ricostruire il senso circolare della vicenda che li riportera’ esattamente al punto di partenza. Solo più informati, e finalmente in grado di comprendere gli eventi, pronti per cercare nei posti giusti.
Il film non è affatto male, e pur non trattandosi di una capolavoro recitativo (io aborro la Watts!) nè fotografico (le atmosfere sono patinate, molto anni 90, lucide e tuttosommato banali), nè registico (i tagli sono semplici e il montaggio è lineare, privo di alcuna sperimentazione stilistica), qualcosa funziona, gira e suona persino accattivante. Forse l’idea di assimilare soluzione narrativa e luogo (geografico) della narrazione, sovrapponendo il figurato al raffigurato: tutto è un cerchio : il viaggio dei due “detective”, l’ultima immagine vista da Samara (il pozzo che si chiude), il pozzo stesso, tomba della piccola demonietta vendicativa. Risulta abbastanza efficace il ritratto insicuro e volutamente incerto di Samara, insieme alle modalita’ della rappresentazione: ad un certo punto  ci ritroviamo a guardare  la bimba con gli occhi “materni” della Watts, che arriva a provare una speciale e incoffessabile  compassione empatica per la “telefonista d’eccezione”, e noi, trascinati dalla narrazione, la seguiamo mettendo in dubbio quanto apparentemente assodato.
La visuale si impenna e si capovolge bruscamente quando il piccolo medium di famiglia (il figlio della Watts, perfettamente reso in Scary Movie 3), avvisa la mamma che “lei non dorme mai..“, lasciando intendere che non c’è  motivo di provare  pieta’  per la sadica bimba, e che nessuna giustificazione la assolve dalle sue malefatte; Samara  si trascina infatti sulla “coscienza” una valanga di cavalli suicidi, una comunita’ devastata e due genitori morti della stessa sorte degli equini. Senza rimpianti. Le ambientazioni sono interessanti anche se non precisamente originali: il faro e il contesto da scogliera isolata trabocca eco hitch*****iane (Uccelli), così come l’ospedalizzazione di Samara e le “torture” a cui sembra essere sottoposta dal personale medico strizzano l’occhio all’Esorcista, in un ottocentesco (ma sempre efficace) parallelismo tangenziale fra malattia mentale, possessione demoniaca e potere paranormale. Curioso il contenuto della videocassetta incriminata: una giustapposizione di fotogrammi in bianco e nero veloci e ben ritratti: lo sparpagliato insieme di riferimenti della spaventosa vita di Samara. Tutto sommato il film si ammanta di un alone  d’inquietudine sospesa, e riesce a restituire un “ammorbamento”  generale paludoso e di fondo, che tiene al punto da non far sganasciare dalle risate, cosa di per sè gia’ abbastanza significativa per un  teen horror di ultima generazione (per intenderci, di quelli coi telefoni che squillano).
Di sicuro non c’è molto che possa tener svegli la notte, (a parte gli occhioni da Sad Sam della Watts), e a meno che non siate gia’ particolarmente sensibili ai cavalli pazzi o ai fari isolati sui promontori, questo film aggiungera’ poco alla squadra dei vostri incubi personali.The Ring: Pur rimescolando immagini usate realizza suggestioni semi nuove. Senza infamia e senza lode. Evitatelo se prima avete visto Scary Movie 3!La Frase: “Lei non dorme mai!” David Dorfman, The Ring 2002.

Nota: di Roberta Monno
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