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Recensione

8mile

Un soprendente parallelismo lega 8 mile agli sceneggiati contemporanei partenopei.

L’opera prima di Eminem è il racconto audivisivo di alcuni interrogativi fondamentali dipanati con notevole efficacia registica e attorale: come si (soprav)vive in un contesto familiare e sociale in cui gli affetti naufragano e il talento è spesso vittima di incomprensioni e irriconoscenza? La musica è un fenomeno esistenziale ed “espressivo” che basta a se stesso oppure il successo deve necessariamente passare dal riconoscimento altrui?

Splendidamente ambientato ai confini di Detroit, 8 mile colplisce favorevolmente per densità e tensione espressiva e incanta per le straordinarie rime della colonna sonora, ma, nonostante una indiscutibile venatura drammatica, altro non è se non un melodramma al quale, accompagnato dalla immancabile canzone d’amore, non manca il lieto fine e i cui contorni dialettici (tra bene e male, tra cantanti talentuosi e non) sono in realtà netti e in cui emerge dirompente la volonta di commuovere.

Musica, fuga dalla miseria, volotà di emergere, sentimenti e infine happy ending, le strade di Detroit come i vicoli di Napoli, i rapper dissacranti come gli scugnizzi pasionari, le rime irriverente di un bianco come le canzoni melodiche napoletane. Ovvero, Eminem come Nino, due attori iperprotagonisti per due film autobiografici, 8 Mile e Un Jeans e una maglietta che dal punto di vista recitativo e narrativo si prestano a descrivere – con sorprendente analogia – due spaccati di vita e società affatto contrapposti.

L’opera cinematografica prima di questo sconcertante rapper bianco di Detroit si presenta dunque quale rinnovata e modernizzata sceneggiata napoletana in cui a emergere con grande efficacia sono le prove dello stesso Eminem e quella di una rediviva Kim Basinger, perfetta nei panni della problematica madre di Jimmy.

Nota: di Daniele Rizzo
8mile

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