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H2Odio

Recensione: H2Odio

Niente da fare, H2Odio non mi ha convinto neanche questa volta! Quale altra volta avrebbe dovuto convincermi?
Quando giaceva sotto le mentite spoglie di Almost blue o quando si nascondeva sotto Il Siero delle Vanità. Ecco, sarò perentoria: H2Odio è un cortometraggio allungato, stirato e sbrodolato, la cui intima e sincera natura richiedeva circa un quarto d’ora di girato, ma per magia dell’arroganza ci troviamo ad assistere a strazianti e interminabili sequenze che ne disperdono il potere originario, la forza che come onesto corto avrebbe avuto.

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Ma andiamo per ordine. Il buon Infascelli è un ragazzotto di belle speranze cinematografiche a cui una famiglia di cinefili produttori non nega la messa in scena di qualsiasi sua visione.
Si gridò al miracolo all’uscita di Almost Blue, opera prima dalle numerose imperfezioni e dai vistosi buchi di sceneggiatura (e di realismo, per quanto si richiamasse a dei fatti di cronaca), ma gli si perdonò tutto, in fondo era un opera prima! Il giovane veniva dai videoclip e dalla pubblicità (dove credetemi, avrebbe fatto meglio a rimanere!), e vantava uno sperimentalismo audace e innovativo che scosse il sonnacchioso cinema italiano, che ebbe l’ardire di rintracciare in lui un salvatore della patria: “Infascelli ci salverà dai Muccino Junior e Senior, dai verbosi Bellocchio e dai soporiferi AmelioAvati!!”. Pomposo arrivò  Il Siero delle Vanità, e si cominciò a credere che il pupo si fosse montato la testa: tanta carne al fuoco, temi pretenziosi, arroganti pretese moralizzanti e buchi di sceneggiatura non tappati neanche stavolta.  Rimaneva inalterato il piglio da spot del Grana Padano (effetti visivi ben calibrati, fotografia patinata, musiche incalzanti), il ritmo e le atmosfere da video dei Marilyn Manson non aveva ceduto il passo a maggiori riflessioni sul soggetto e sulla sceneggiatura.
Ecco che la critica lo rinnega, con una pacca sulla spalla lo si invita a ponderare meglio le storie che scrive (lui scrive oltre che filmare.. Sarà qui il cuore del problema?
)…Alex aspetta, cova in silenzio la sua vendetta e riappare con un esperimento tutto ardore e novità: H2Odio: il primo esperimento di “uscita all’incontrario”: prima nelle edicole, poi sulle pay tv, sui telefonini, poi a noleggio etc….(arriverà al cinema?
Io dico di no.)Il film racconta di cinque giovani donne che si fanno abbandonare su di un isola di proprietà di una di loro, la protagonista (la stordita ma brava Chiara Conti), per digiunare e purificarsi una settimana. Qui il viaggio prenderà i contorni dell’incubo, dell’allucinazione e via dicendo con tutte quelle affermazioni vaghe, tipiche dei film con scarsa sostanza ma pieni di buona volontà. Ora, come dicevo tutta la storia (in nuce potente ma di fatto scarnissima!) poteva essere vivacemente raccontata in poco più di un quarto d’ora, dato che il Nostro sceglie di non mettere in piedi nessun tipo di intreccio, e nessuna vera architettura narrativa sorregge le immagini che vediamo.
Tutta la vicenda si scioglie in un susseguirsi di apparizioni, flashback, ricordi confusi e sogni ancora più fragili. Non vi sono praticamente dialoghi fra le ragazze, solo rapidi scambi di battute del calibro di : Io non capisco, Tu non capisci?
Io non capisco!”. Che il tenore della noia sarebbe stato elevato lo si comprende dai primi cinque minuti  in cui ti accorgi che il tempo dedicato ai titoli di testa è superiore a quanto il buon senso imporrebbe, salvo poi dedurre fatalmente che, evidentemente, se un regista dedica cinque(di solito preziosi) minuti ai titoli di testa vuol dire che la trama e la narrazione sono così povere da non averne bisogno.
Ribadisco il concetto: un corto metraggio che vuol durare un’ora e mezza deve pur perdere tempo in qualche modo! La protagonista è la sopravvissuta di due feti, di cui uno si è poi assorbito in lei durante i primi tre mesi di gestazione, ed ecco pronte le assurdità di sceneggiatura: la ragazza cresce disturbata da questa sorella che si porta dentro sotto forma di teratoma ( per chi non lo sapesse, il teratoma è una forma tumorale avente peli, capelli, unghie e denti.), la madre si toglie la vita per non si sa bene quale motivo -secondo la spiegazione data dal pregevole Platinette in arte Mauro, che interpreta il dottore di famiglia evocato dai ricordi di Olivia, la protagonista, la madre si sentirebbe in colpa al pensiero che la figlia si senta in colpa al pensiero di aver inglobato il feto della sorella(!?
!).- Ora, se a Dan Brown volevano imporre la dicitura “fatti di fantasia” mi chiedo come mai non ci abbiano pensato per questo film, dato che il teratoma è purtroppo meno raro di quanto si creda, e la sindrome del gemello evanescente non colpisce affatto in questo modo, anzi la maggior parte delle volte non colpisce per niente. Mi chiedo inoltre che cavolo hanno detto a fare a una bambina di quattro anni che aveva un gemella di utero e che se l’è “mangiata”?
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Olivia ha circa questa età (perfetta per una rivelazione del genere!) quando la mamma si uccide, e si intuisce che lei sappia già dell’esistenza della sorella a causa delle pitture rupestri da lei realizzate, in cui si ritrae mano a mano col feto-sorella.
Mi chiedo quale possibilità ci sia che una storia così irrealistica e paradossale possa attecchire nell’emotività dello spettatore che, se dotato di un minimo di buon senso, si domanderà come si fa a patire una vita per la dipartita di un feto di poche settimane, a cui per giunta si è dato un nome?
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Alex aggira il problema del coinvolgimento mandando sullo schermo una didascalica definizione tratta dall’enciclopedia medica di “Sindrome del gemello evenascente”, a cui fa seguire la domanda delle domande: Sei tu il sopravvissuto?
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 Bene, ora sì che siamo tutti presi dal film, che, nel frattempo è finito. Mi chiedo ancora, nessuno ha spiegato alla “promessa del cinema italiano” che far ricorso ad espedienti quali la protagonista che scrive una lettera, o le scritte finali in sovrimpressione che praticamente ti spiegano quello che fino a quel momento avresti dovuto vedere (e capire!), sono indice di un vuoto nella struttura narrativa?

Per non parlare della “struggente” sequenza in cui il fantasma della madre si bacia (nel senso di pomicia!) appassionatamente con la figlia…ecco, quello è uno dei picchi di assurdità del film, che si consacra al surrealismo più becero, sensazionalistico e… per dirla in una parola…INUTILE!! Questo è il difetto di Alex, ottimo regista di videoclip/spot: credere che una fragile ipotesi di storia possa essere siliconata e gonfiata
per mezzo di immagini potenti, musiche profonde, suggestioni visive di un certo livello. 
E soprattutto credere che lo spettatore si lasci impressionare dal film italiano girato in inglese (wow, che internazionalità, sarà senz’altro un gran lavoro!!), dalle strizzate d’occhio alle ricercate atmosfere americane che dovrebbero sopperire a quella congenita mancanza di narrazione dei suoi film. Non siamo così fessi, dopotutto, e per quanto io possa gradire i disegni di Ana Bagayan (illustratrice della copertina del dvd, davvero curata e intrigante), voglio vedere un film, una storia che mi coinvolga, che mi emozioni…e se tutto quello che la incornicia è valido fuorché la storia stessa, posso definire anche questa esperienza con Alex mancata, perché il ragazzo continua a confondere il mezzo con il fine, e se questa volta si è spinto fino a sceneggiare un teratoma, tremo al pensiero di ciò che ci aspetta se il film va bene. Ragazzi, il cinema italiano è più di un videogioco di luci e suoni, è cinema di storie che tratteggiano emozioni che delineano persone e stralci di umanità.Ben vengano i Muccino, gli Amelio e gli Avati, onesti cantori della nostra penisola, esperti di cinepresa e conoscitori della parola.H2Odio: Annacquato disastro “d’autore”: Per autolesionisti intellettualoidi.

Nota: di Roberta Monno
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