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Recensione: Volver

Ce l’ho fatta! Finalmente l’ho vista. Cosa?
La grandezza di Pedro Almodovar.

SCHEDA TECNICA

SCHEDA DVDOra mi spiego. Pur non amando o non comprendendo il regista madrileno mi ostino da sempre a vedere tutti i suoi film. TUTTI. Non ne ho perso uno, da La legge del desiderio a La Mala Educacion mi sono pappata l’Opera Omnia di una autore che mi è sempre rimasto oscuro e indigesto.
Confesso di aver sofferto di crisi d’identità, perché all’ululato d’emozione di critici, amici e intellettuali, io rispondevo con un affranto: “Boh, non capisco di cosa parliate, non ho visto niente di speciale!”. Capite cosa intendo?

Sentirmi sola in un mare di ispirate considerazioni che ritraevano il film di turno come l’ultimo dei capolavori, e il paffuto regista come il miglior conoscitore delle donne mai esistito. Io tutto questo non lo coglievo, ed essendo come sono, un umile arrogante, ho finito col pensare che ci fosse in me qualcosa di sbagliato, che l’errore stesse nei miei occhi di spettatrice disattenta o insensibile.
Così ogni due anni, all’uscita nelle sale dell’ultimo “Almodovar”, correvo spedita a raccogliere la sfida con me stessa: farmi piacere l’ispanica pellicola. Ma non ci sono mai riuscita. Fino a ieri. Le storie inscenate mi sono sempre apparse più che altro una giustapposizione di fatti più o meno complicati (vedi l’insolvibile puzzle de La Mala Educaciòn, o il contorto Tutto Su Mia Madre), storie molto (troppo) sceneggiate, straparlate e scarsamente emotive (lo so lo so…ve l’ho detto che il problema è mio).
Il finale di La Mala Educaciòn poi, mi aveva irrimediabilmente convinta che io e Pedro avessimo un idea di cinema eccessivamente diversa per potersi mai conciliare, visto che, a mio parere, il terminare una intricata vicenda di scambi di persona, travestimenti, morti apparenti, presunte o reali, con una scritta in sovrimpressione che accorcia la storia concludendola per didascalie, è un peccato mortale imperdonabile, soprattutto se per due ore mi hai messo di fronte di tutto di più…non puoi uscirtene così! Tanti fatti, tanto colore, tante persone, tanta musica. Un cinema bulimico declinato in modo grossolano, che irradia emozioni assai gesticolate ma poco penetranti. Eppur tutti lo acclamano, mai una critica, mai una voce fuori dal coro.
Che frustrazione! Fino a ieri. Ho visto “Volvèr” e mi si è spalancato un mondo: un universo dove soffia il vento di levante che gonfia gli incendi e fa perdere il senno. Io ho visto le nostre donne, le donne del sud Italia, che odorano di cucina, che hanno le dita sporche di uova prezzemolo e macinato, e vestono la parannanza come una seconda pelle. Le donne che rispettano i morti più dei vivi e accettano imperturbabili che uno spirito le parli, e solo con un fantasma possono interloquire rispettose, senza strillare…e chi vive o è nato al sud sa quanto strillino le nostre donne. Ho visto il folklore come componente cruciale e snodo del racconto, e non come vezzo o feticcio o “marchio di fabbrica” tanto caro al Madrileno. Ho visto Penèlope Cruz immensa, potente (ma non mi dilungo negli aggettivi, che la adoro si sa), attingere ad una gamma di emozioni talmente vasta, sfumata e approfondita da farmi credere che nella vita lei sia madre, nipote, moglie, casalinga e cuoca, padrona com’è di tutte le cromature del genere femminile portate sulle schermo con Raimunda. Penelope è la Donna del Sud Europa. Emotiva, fortissima, uterina, fiammeggiante. Sole, la sorella maggiore, col suo sguardo perso e perplesso è il lato comico della storia, che dà il polso del paradosso a cui stiamo assistendo. Paula, la zia bruciata dall’Halzheimer è quella che ha capito tutto: sa dov’è Irene (la madre di Raimunda e Sole presumibilmente morta) e sa vedere quanto nessuno vede (alla figlia quattordicenne di Raimunda dice: Hai gli occhi di tuo padre, e lascia così cadere una verità atroce, che i più attenti non faticheranno a cogliere giacché di lì a poco Pedro ci regala un primo piano di Paco, il padre della ragazza, che ha gli occhi piccoli e chiari, mentre i suoi sono enormi e scuri). Augustine è la fragile vicina di casa, le cui vicende si fondono e confondono con quelle del nucleo famigliare di cui seguiamo le mosse… e chi di noi non ha nei suoi ricordi d’infanzia  una vicina?
Sempre chi vive al Sud conosce bene la dimensione microcosmica del “cortile”, dove serpeggiano crescono e si sviluppano rapporti controversi e ravvicinati, invidie, silenzi, confidenze e sussurri. Restano intatti i temi prediletti dal regista: la malattia e l’assistenza al malato (La Mala Educacion, Parla con Lei, Tutto su Mia Madre), la morte, l’equivoco, la violenza sessuale, la parentela che governa il destino della tua esistenza. Ma tutto subisce un trattamento più lieve, meno ingente, più “vaporoso”.“Volvèr” è un film leggero che ti soffia sul cuore e ti commuove. Non è il solito sovraccarico di energia pitturata a tinte arancio a cui ci ha (mi ha) abituato Almòdovar. E’ più discreto, più umano, miscela riso e pianto, come nella vita.
E fa sognare. Illude, forse, che le ferite incurabili si possano sanare e che le cicatrici che spaccano il rapporto fra una madre e sua figlia siano, prima o poi, dimenticabili. Come vorrei che avesse ragione.Volvèr: Per almodovariani e Non.

Nota: di Roberta Monno
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