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Le Onde Del Destino

Recensione: Le Onde Del Destino

Magari il mondo si divide in due categorie: Quelli che davanti a Le Onde Del Destino piangono, e quelli che ne restano infastiditi. Io mi ritrovo nella seconda categoria. Ma Von Trier, a quale appartiene?

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Che giudizio avra’ di Bess, mistica disforica bipolare, e delle persone che lei rappresenta?
C’è della stima, per lei (in fondo le viene concesso persino di suonare le campane dal Paradiso!), oppure, per dirla alla Elton JohnIt’s a little bit funny – è abbastanza comico”, come canta nel verso d’apertura di Your Song in finale di film?
Non è facile districare la matassa di intenzioni e sottotracce che come al solito si affastellano nei film del Nostro, eppure, stando a quello che ci dice la trama, l’amore vince sempre e su tutto, e benché non ci sia amore senza un po’ di sacrificio, alla fine le campane vorranno suonare per chi si è immolato in suo nome, e festeggieranno il compiuto rito sentimentale che è perfino in grado di restituire la vita. Ma sarebbe la prima volta che un film di Von Trier trova nell’enunciazione della trama la sua soluzione più piena.
Guardiamo attentamente. Distraiamoci dai giochi di prestigio del meledromma e non facciamoci confondere dalle liturgie del genere (il melò appunto) e chiediamoci se questo è amore.Bess (non bastano gli aggettivi a qualificare la prova di Emily Watson) si innamora di un uomo che per ragioni di lavoro parte per mare, ed essendo la giovane vagamente disturbata (o solo incapace di filtrare le sue emozioni, quindi purissima, puro Es che esige e pretende, magari i pazzi   sono gli altri), prega Dio di riportarglielo a casa. Bess (quasi alla maniera di Smeagle), si risponde chiudendo gli occhi e simulando la voce di Dio, un Dio patriarcale e severo, che ha il tono e il frasario degli uomini del villaggio, aguzzini dello spirito, ferrei custodi della moralita’e dell’apparenza.   In questi soliloqui ai limiti dello psicotico Bess mostra di essere lucida e di seguire una logica “causa effetto” che potremmo definire preveggente. O onniscente. In fondo sta pur sempre parlando con Dio, che l’ammonisce della “pericolosita’” dei suoi desideri così assoluti e perentori. Dio (nella persona di Bess… O no?
) redarguisce la ragazza invitandola a prendere coscienza del fatto che i suoi sogni non sono il frutto dell’amore bensì di un egoismo sfrontato e cieco, e conclude le sue dissertazioni con un fermo: “Sei sicura di volerlo davvero?
“- “si“. E siccome quando Dio vuole punirci esaudisce le nostre preghiere Jan, il bramato marito, tornera’ per restare: l’uomo ha subìto un’incidente che lo ha reso paralitico, oltre che con la vita appesa a un filo e a mille interventi chirurgici. Ovviamente il senso di colpa è incalzante e l’esigenza di espiare si fa estenuante: benché si sbracci per essere una persona buona, è stata Bess con il suo egoismo a ridurre il marito in quello stato. L’amore bruciante e totale l’assorbe, e la nostra Bess sara’ sempre più oltre ogni limite disposta a fare di tutto pur di dimostrare a Dio e a Jan che il suo amore è sincero, e in un susseguirsi di gesti votivi e sacrificali, oltre che scaramantici ed espressione del pensiero magico, Bess si sentira’ sempre più “potente”, quasi a sovrapporsi a Dio stesso perché convinta di avere il potere di salvare la vita del marito e non solo: con i suoi sacrifici e le mille preghiere potra’ riportarlo ad una vita normale. La cosa a little bit funny?
è che ci riesce, provando allo spettatore cosa?
Che il sacrificio umano è quello che un Dio e una comunita’ assetata di sangue cerca per esaudire le nostre preghiere?
O che chi infligge sadiche torture all’amato (in questo caso Jan, che assegna a Bess i compiti più barbari “per sentirsi vivo“) ha la meglio e vince, perché è così che va: il più forte vince (vive), il più debole si sacrifica.
Di sicuro assistiamo ad un quadro di religione e religiosita’ malati, incatenanti e deumanizzanti, eppure Bess è umanissima, la più umana e la più devota, a dimostrazione del fatto che le due cose possono coesistere con leggiadria.
Bess è persino la più felice del film, la più sorridente e gaudia (in maniera a volte urticante) perché baciata dalla fiducia che sfida la malattia e le leggi di questo mondo. Nè Bess nè Jan termineranno il film da malati: lei libera di aver avuto fede (e ragione di averlo fatto, visti i risultati), lui guarito, anche per mezzo delle “esecuzioni” di Bess (quindi non aveva torto nell’assegnargli certi compiti; era vero che l’avrebbero tenuto in vita). Ce n’è un po’ per tutti e per nessuno, perché a tutti manca pur sempre qualcosa e la unica, sola creatura umanamente riconoscibile (ed empaticamente condivisibile) è Dodo, la cognata di Bess, quella che le voleva bene col raziocinio e che in ultima istanza si prende la briga di contestare ad alta voce le regole di un villaggio che non riserva funzioni funebri alle “peccatrici”, o non consente alle donne di parlare in Chiesa.
Insomma, nel mondo di chi crede ciecamente crocefiggersi nel corpo e nella dignita’ è un buon modo per amare che può persino (in una specie di magica profezia che si autoavvera) rimettere in piedi gli storpi proprio come Gesù fece con Lazzaro, mentre l’Universo degli infedeli forse non potra’ suonare le campane dal cielo, ma vive, e succhia la vita agli altri.
Se questo è amore.

Nota: di Roberta Monno
Le Onde Del Destino

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