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Signorina Effe

Recensione: Signorina Effe

Si puo’ dire che esiste un problema con questi film si ma forse piu’ o meno storici ma non del tutto (vedi Buon Giorno, Notte): la struttura vagamente codarda, che delega la narrazione degli estremi cronistici a filmati d’epoca, eco di Tg, sottofondi di radiogiornale.

SCHEDA TECNICA

SCHEDA DVDI registi di film quasi piu’ o meno storici hanno paura di macchiarsi le mani, e fanno fare il lavoro sporco alle immagini di repertorio, senza prendersi la briga e la responsabilita’ di ricostruire o reinterpretare ferocemente il narrato.

Ed ecco che si finisce con l’assistere ad opere che sono pretesti piu’ che testi in se’, di cosa, non si sa bene. Il settembre 1980 della Fiat e’ lo sfondo su cui si abbarbica la storia d’amore, o e’ la passione tra Timi e Solarino a fare da coprotagonista insieme alle questioni della Signorina Effe (Fiat, per chi non lo avesse capito), vera protagonista dell’opera?

Mah, sta di fatto che ne’ l’una ne’ l’altra traccia sono adeguatamente risolte, e benche’ il film trattenga un certo fascino, qualcosa non funziona.

Emma (Solarino) e’ una donna preconfezionata, programmata per riuscire: imminente laurea in matematica, un posto ai piani alti della Fiat, un compagno ingegnere della Fiat, potente e ricco. Emma si consuma in una battuta: “fai di tutto per non sembrare un terrona“, la apostrofa incontrovertibile Sergio, operaio conosciuto per caso, “scioperatore” convinto dal fascino nerboruto e terrigno.

Sergio e’ sdrucito ma autentico, e il suo fare passionale e sicuro scompaginera’ la precisa esistenza di Emma, che infine si concedera’ un tuffo nei bassifondi alternatevi, una vacanza da se’ stessa per assaporare (un po’ in ritardo sulla tabella di marcia dell’eta’) manifestazioni e suonate all’aria aperta, davanti a un falo’, le bionde trecce e un’eskimo innocente.

Ovviamente e’ previsto il rientro nei ranghi entro la fine delle trattative Fiat – Sindacati – Lavoratori, che vedranno questi ultimi uscirne male, per quanto, sentenzia la Labate, non c’e’ qualcuno a cui sia andata particolarmente bene.

Forse il viso scolpito e coriaceo della (pur bella ma tanto dura) Valeria Solarino mal si concilia con l’arrendevole anima da pecora di Emma, mentre il cinghialuto Filippo Timi (il nostro Javier Bardem) e’ piu’ che preciso per il ruolo di Sergio seduttore di periferia, e la parlata e gli accenti vagamente teatrali del nostro talentuoso perugino non guastano, e conferiscono un’alone esagerato e quasi surreale ad un film che altrimenti (registicamente parlando) avrebbe pochino da raccontare.

Qualche difficolta’ col montaggio non rende tuttavia pessimo un progetto che avrebbe potuto significare qualcosa in piu’ se solo si fosse spinto con coraggio e convinzione verso un punto preciso (la storia d’amore o la vicenda di storia), decidendosi sul soggetto /oggetto della narrazione.

Non manca qualche difetto di sceneggiatura, e talune frasi paiono davvero motti da due soldi: “Una vita di fatica e di paura non e’ una vita” (ma va’?
), mentre e’ sufficientemente interessante (e apprezzabile) la scelta di non inverbosire lo sbocciare della relazione fra Emma e Sergio, e lasciarla spiegarsi per immagini fisiche, restituendo il senso di una vera “sbandata” corporale della ragazza in cerca di un po’ di “sangue”.

Curiose (per un ragazzo di oggi) le sequenze d’epoca che ritraggono la politica (nella persona di Berlinguer) parlare alla sua gente di riferimento, spalleggiare e giocare di sponda con gli operai che, complici, sentono il peso di una politica alleata e vicina (altri tempi, non c’e’ che dire).

Intenso il finale, anche se cerchiobottista nelle intenzioni (esattamente come detto in apertura di pezzo): da un lato si continua ad occuparsi della Fiat con delle didascalie illustrative che ci danno i numeri dei licenziamenti, dall’altro abbiamo il toccante incontro, nel 2007, fra Emma e Sergio. Lo sgomento, la dilatazione dei secondi, interminabili, in cui i due si riconoscono, e la bellissima, suggestiva scelta di non farli mai guardare negli occhi e rimanere cosi’, sospesi, aggrappati all’idea (quasi immaginaria) di essere al cospetto dell’altro, da non deturpare altresi’ trattenere per come e’. Un bellissimo esempio di recitazione minimale che commuove e reitera la questione. Un film d’amore sacrificato per uno sociale, o viceversa?

Signorina Effe: Non male, ma  ci vuole più coraggio. Un film bisbigliato.La Frase: “è arrivata la bella di casa” Sabrina Impacciatore, Signorina Effe, 2007.

Nota: di Roberta Monno
Signorina Effe

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